martedì 8 novembre 2011

LA PRELAZIONE COMMERCIALE:


Con l’espressione “prelazione urbana commerciale” s’identifica la prelazione collegata al rapporto di locazione avente per oggetto una costruzione urbana ad uso commerciale, previsto da un lato dall’art. 38 della legge 27 luglio 1978, n. 392.
La ratio di tale prelazione legale è quella di favorire la tutela dell’avviamento commerciale, come clientela ed agevolare, nel contempo, il modo d'essere di una determinata zona attraverso il mantenimento degli esistenti punti di vendita.

Pertanto, quando il proprietario del bene immobile locato ad uso commerciale intende procedere alla vendita del proprio fondo, ai sensi di legge, è tenuto a comunicare al conduttore (per mezzo della denunciatio) tale sua intenzione permettendogli così di esercitare il proprio diritto di prelazione.
L’art. 38, primo comma della legge 392 del 1978 dispone che la comunicazione del locatore al conduttore va data con atto notificato a mezzo ufficiale giudiziario, nella comunicazione devono essere indicati:
a) il corrispettivo;
b) le altre condizioni concernenti la compravendita;
c) l’invito ad esercitare la prelazione.

LA NATURA DELLA COMUNICAZIONE (DENUNCIATIO) E LA GIURISPRUDENZA:
Le Sezioni Unite della Cassazione sono intervenute per risolvere i compositi contrasti interpretativi insorti in ordine alla natura della denuntiatio (che il locatore intenzionato ad alienare l’immobile deve comunicare al conduttore, ex 1° comma dell’art. 38) e degli effetti immediati che da un lato la stessa denuntiatio e, dall’altro, l’esercizio della prelazione, producono (v. sent. 4 dicembre 1989 n. 5359, Foro it., 1990, I, 1563).

Le Sezioni unite hanno enunciato i seguenti principi:

a) La denuntiatio prevista dall’art. 38, 1° comma, l. 392/78 a carico del locatore che intenda trasferire a titolo oneroso l’immobile locato ad uso diverso dall’abitazione, non costituisce una proposta contrattuale di vendita rivolta al conduttore, e neppure mera informativa di generici intenti destinata ad avviare trattative tra le parti, ma è un atto dovuto di interpello, vincolato nella forma (ma v., nel senso che costituisce valido equipollente della notifica a mezzo di ufficiale giudiziario la consegna a mezzo di lettera raccomandata, Cass. 12689/91, Foro it., 1992, I, 2451) e nel contenuto, diretto a mettere il conduttore in condizione di esercitare il diritto di prelazione, sempre che di tale diritto esistano i presupposti (altrimenti sia la denuntiatio sia l’esercizio della prelazione rimangono privi di effetto ai fini dell’art. 38: cfr., con riferimento al caso in cui debba escludersi la titolarità del diritto di prelazione in capo al soggetto che ha ricevuto la denuntiatio, Cass. 1661/90, Foro it., 1991, I, 569, e Cass. 1909/91, Nuova giur. civ., 1992, I, 20);

b) che l’esercizio della prelazione da parte dell’avente diritto non costituisce, quindi, accettazione di una proposta contrattuale, né comunque produce l’immediato trasferimento della proprietà dell’immobile locato, ma comporta il sorgere, per entrambe le parti, dell’obbligo legale di addivenire, entro un preciso termine (art. 38, 4° comma), alla conclusione del previsto contratto (definitivo o preliminare) di compravendita, con contestuale pagamento del prezzo da parte del conduttore prelazionante;

c) che il locatore, una volta comunicata la denuntatio di cui all’art. 38, 1° comma, rimane vincolato fino al termine dalla legge concesso al conduttore per l’esercizio della prelazione, in attesa della determinazione dell’avente diritto, e non può quindi revocare la denuntiatio né in pendenza del termine suddetto, né – a maggior ragione – dopo che il conduttore abbia esercitato il diritto di prelazione;

d) che, esercitata la prelazione ai sensi dell’art. 38, 3° comma, il locatore alienante ed il conduttore prelazionante, sono reciprocamente tenuti ex lege alla stipulazione del contratto (preliminare o definitivo) di vendita, possono avvalersi della esecuzione in forma specifica contemplata dall’art. 2932 cod. civ., ove ne ricorrano tutte le condizioni.


L’ESERCIZIO DEL DIRITTO DI PRELAZIONE:
L’art. 38 della legge n. 392 del 1978 dispone che il conduttore deve esercitare il diritto di prelazione entro il termine di sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione, con atto notificato al proprietario a mezzo di ufficiale giudiziario o mediante forme equipollenti, offrendo condizioni uguali a quelle comunicategli.
Quando il diritto di prelazione sia esercitato, il versamento del prezzo di acquisto, salvo diversa condizione indicata nella comunicazione del locatore, deve essere effettuato entro il termine di trenta giorni decorrenti dal sessantesimo giorno successivo a quello dell’avvenuta notificazione della comunicazione da parte del proprietario, contestualmente alla stipulazione del contratto di compravendita o del contratto preliminare.
Pertanto il contratto di vendita tra le parti dovrà avvenire proprio entro tale termine (30 giorni decorsi i 60 giorni dalla denunciatio).

LA TUTELA DEL DIRITTO DI PRELAZIONE:
Il retratto o riscatto è il rimedio tipico previsto per l’ipotesi di violazione della prelazione.
Il diritto di riscatto è il diritto del conduttore di subentrare al terzo acquirente del bene immobile in caso di mancata osservanza delle norme sulla prelazione.
Queste le caratteristiche:
a) è un diritto potestativo del retraente;
b) si estrinseca in una dichiarazione unilaterale recettizia.

Il retratto si ha in tutte le seguenti ipotesi:
a) omessa comunicazione dell'intento di alienare;
b) vendita a condizioni diverse;
c) vendita a terzi dell'immobile locato nonostante l'esercizio del diritto di prelazione da parte del conduttore;
d) nel caso in cui la stipulazione dell'atto di vendita con il terzo sia stata effettuata in data successiva e diversa da quella indicata nella "denuntiatio";

L'esercizio del diritto di riscatto ha come effetto, la sostituzione "ex tunc" ( effetto retroattivo) del conduttore al terzo nella stessa posizione che questi aveva nel negozio concluso, sulla base della propria dichiarazione unilaterale recettizia.
La dichiarazione va presentata nel termine legale di decadenza di sei mesi, che decorre dalla data della trascrizione dell’atto di vendita in favore del terzo.
Detta dichiarazione va espressa o con atto stragiudiziale, oppure mediante atto di citazione a giudizio.

Per qualsiasi consulenza in merito all’esercizio del diritto di prelazione non esitare a chiedere una consulenza, contattandomi via e-mail.








lunedì 7 novembre 2011

REVOCA DELLA DONAZIONE PER INGRATITUDINE


Ai sensi dell’art. 801 c.c. la donazione può essere revocata per ingratitudine soltanto in quattro distinte ipotesi e cioè quando il donatario:

1)    abbia commesso uno dei gravi delitti indicati ai n.1, 2 e 3 dell’art. 463 c.c., ipotesi di indegnità a succedere, omicidio o tentato omicidio dell'ereditando (donante) o del di lui coniuge, di un discendente o un ascendente (sempre che non ricorra il caso fortuito o la forza maggiore o una delle cause che escludono la punibilità); un fatto al quale la legge dichiara applicabili le disposizioni sull'omicidio; l'aver denunziato calunniosamente una delle dette persone per reato punibile con l'ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni;
2)    abbia arrecato grave pregiudizio al patrimonio del donante con la propria condotta dolosa;
3)    abbia omesso di prestare allo stesso gli alimenti, qualora ne sussistano i presupposti di fatto;
4)    si sia reso colpevole di ingiuria grave nei confronti di quest’ultimo;

La revoca della donazione per ingratitudine costituisce una delle tassative cause di scioglimento del contratto di donazione «ammesse dalla legge», così come previsto genericamente dall’articolo 1372 c.c.
Eccezionalmente, il legislatore considera giuridicamente rilevanti, dopo la stipulazione della donazione, determinati fatti che, se esistiti prima della donazione, avrebbero chiaramente influito sulla volontà del donante, facendolo quindi desistere dal donare o, comunque, determinandolo a decidere diversamente.

Sorge allora un diritto potestativo, ad esercizio giudiziale, verificandosi tali elementi in capo al donante, con possibilità di scegliere se mantenere in vita oppure revocare la donazione ottenendone pertanto la cessazione degli effetti.
La domanda giudiziale di revoca della donazione per ingratitudine non può essere introdotta se è trascorso un anno dal momento in cui si è presa conoscenza del fatto integrante la fattispecie d'ingratitudine.


La giurisprudenza di legittimità ravvisa quale presupposto della revocazione il comportamento del donatario, successivo alla donazione, con il quale si rechi all'onore ed al decoro del donante un'offesa suscettibile di ledere gravemente il patrimonio morale della persona. In tale condotta si rileva un sentimento di avversione che manifesta tale ingratitudine verso colui che ha beneficato l'agente, tale da ripugnare la coscienza comune.


La Cassazione con la Sentenza del 28 maggio 2008, n. 14093 ha stabilito che costituisce ingiuria grave l'atteggiamento complessivamente adottato, menzognero e irriguardoso verso il marito, all'insaputa del quale la ricorrente si univa con l'amante nell'abitazione coniugale.
Se la moglie tradisce il marito con uno più giovane nello stesso letto, è possibile applicare la revocazione della donazione per ingratitudine. Costituisce ingiuria grave, presupposto della revocazione - non tanto il fatto che la ricorrente, la quale all’età di trentasei anni, già madre di tre figli, aveva intessuto una relazione con un ventritreenne, protrattasi clandestinamente per vari anni e sfociata nell’abbandono della famiglia per convivere con il nuovo compagno, quanto l’atteggiamento complessivamente adottato, menzognero e irriguardoso verso il marito, all’insaputa del quale la ricorrente si univa con l’amante nell’abitazione coniugale.


Recentemente la Cassazione, chiamata nuovamente a decidere un nuovo caso di revoca della donazione per ingratitudine, con la sentenza 22936/2011 ha condiviso il giudizio della Corte di appello di Roma, che aveva identificato l'ingratitudine della donna - alla base della revocazione della donazione - proprio nel fatto che ella aveva portato avanti negli anni una relazione adulterina, anche dunque dopo essersi sposata e aver ricevuto abbondanti regali, fino ad abbandonare il marito per l'amante, in un momento in cui egli risultava bisognoso di assistenza. In tal senso è stato determinante l’abbandono nel momento del bisogno.

Diversamente la Cassazione con la sentenza 31 marzo 2011, n. 7487, ha ritenuto che non ricorresse una giusta causa di revoca della donazione per ingratitudine il comportamento della donataria la quale, stante la situazione di conflittualità tra i genitori donanti, chieda ad uno di questi di abbandonare l'abitazione acquistata con il denaro ottenuto dalla liberalità paterna e materna.

Per qualsiasi chiarimento o consulenza in merito alla revoca della donazione per ingratitudine non esitare a contattarmi via e-mail.