lunedì 15 settembre 2014

RIFORMA DELLA GIUSTIZIA DECRETO LEGGE 132/2014

 
DECRETO LEGGE 12 SETTEMBRE 2014 N. 132
MISURE URGENTI DI DEGIURISDIZIONALIZZAZIONE ED ALTRI INTERVENTI PER LA DEFINIZIONE DELLARRETRATO IN MATERIA DI PROCESSO CIVILE

(G.U. n. 212 del 12.9.2014)

 
RIFORMA DELLA GIUSTIZIA
 
PROCESSO CIVILE
 
Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente e del Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha approvato sette provvedimenti sulla giustizia, di cui uno in co-proponenza con il Ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Oltre ai provvedimenti per la giustizia civile, è stato approvato anche il disegno di legge su "Modifiche alla normativa penale, sostanziale e processuale e ordinamentale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi, oltre che all'ordinamento penitenziario per l’effettività rieducativa della pena".

 
Interventi in materia di degiurisdizionalizzazione e processo civile – decreto legge Di seguito i punti principali del provvedimento:

Decisioni delle cause pendenti mediante il trasferimento in sede arbitrale forense. Sia nelle cause civili pendenti in primo grado che in grado d’appello le parti potranno congiuntamente richiedere di promuovere un procedimento arbitrale (secondo le ordinarie regole dell’arbitrato contenute nel codice di procedura civile espressamente richiamate).

Conciliazione con l’assistenza degli avvocati (negoziazione assistita). Si vuole realizzare una procedura cogestita dagli avvocati delle parti e volta al raggiungimento di un accordo conciliativo che, da un lato, eviti il giudizio e che, dall’altro, consenta la rapida formazione di un titolo esecutivo stragiudiziale.

Negoziazione assistita nelle cause di separazione e divorzio. Sono regolate le convenzioni di negoziazione assistita da un avvocato per le soluzioni consensuali in tema di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio (nei casi di avvenuta separazione personale), di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

Ulteriore semplificazioni dei procedimenti di separazione o divorzio (accordo ricevuto dall’ufficiale dello stato civile) Con ulteriori disposizioni per la semplificazione dei procedimenti di separazione personale e di divorzio è previsto che i coniugi possano comparire innanzi all’ufficiale dello stato civile del Comune per concludere un accordo di separazione, o di scioglimento del matrimonio, o di cessazione degli effetti civili o, infine, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

 Modifica al regime della compensazione delle spese: chi perde rimborsa le spese del processo Nonostante le modifiche restrittive introdotte negli ultimi anni, nella pratica applicativa si continua a fare larghissimo uso del potere discrezionale di compensazione delle spese processuali, con conseguente incentivo alla lite, posto che la soccombenza perde un suo naturale e rilevante costo, con pari danno per la parte che risulti aver avuto ragione.

Passaggio dal rito ordinario al rito sommario: le cause semplici richiedono un processo semplice. L’intervento è volto a consentire, per le cause meno complesse e per la cui decisione è idonea un’istruttoria semplice, il passaggio d’ufficio, previo contraddittorio anche mediante trattazione scritta, dal rito ordinario di cognizione al rito sommario.

Dichiarazioni rese al difensore: l’avvocato può sentire i testimoni fuori dal processo. Con la finalità di accelerare e razionalizzare le procedure di assunzione delle prove (prospettiva che si assume complementare all’ampio spazio concesso nel presente intervento normativo alla risoluzione stragiudiziale delle controversie), si introduce una specifica norma mediante la quale si realizza la tipizzazione delle dichiarazioni scritte rese al
difensore, quali fonti di prova che la parte può produrre in giudizio sui fatti rilevanti che ha l’onere di provare.

 Dimezzamento dei termini di sospensione feriale dei procedimenti. È stato stabilito che il periodo feriale nei tribunali sia compreso dal 6 agosto al 31 agosto (anziché dal 1 agosto al 15 settembre).

Ritardo nei pagamenti: chi non paga i propri debiti dovrà pagare più interessi Al fine di evitare che i tempi del processo civile diventino una forma di finanziamento al ribasso (in ragione dell’applicazione del tasso legale d’interesse) - e dunque che il processo stesso venga a tal fine strumentalizzato - andrà previsto uno specifico incremento del saggio di interesse moratorio durante la pendenza della lite.

Automatizzazione dei registri informatici di cancelleria relativi al processo di esecuzione. Spetta al creditore a trasmettere per via telematica in cancelleria la nota di iscrizione a ruolo, unitamente all’atto di pignoramento, al titolo esecutivo e al precetto.

Modifiche alla competenza territoriale del giudice dell’esecuzione. È previsto che, per tutti i soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche, la competenza per i procedimenti di espropriazione forzata di crediti verrà radicata presso il tribunale del luogo di residenza, domicilio, dimora o sede del debitore.

Ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare. L’intervento in materia di ricerca dei beni da pignorare è volto a migliorare l’efficienza dei procedimenti di esecuzione mobiliare presso il debitore e presso terzi in linea con i sistemi ordinamentali di altri Paesi europei. La strada seguita è quella dell’implementazione dei poteri di ricerca dei beni dell’ufficiale giudiziario, colmando l’asimmetria informativa esistente tra i creditori e il debitore in merito agli assetti patrimoniali appartenenti a quest’ultimo.

Eliminazione dei casi in cui la dichiarazione del terzo debitore va resa in udienza

Obbligo di ordinare la liberazione dell’immobile con la pronuncia dell’ordinanza di vendita

Provvedimenti circa i mobili estranei all’esecuzione per rilascio

 Infruttuosità dell’esecuzione Viene introdotta una fattispecie di chiusura anticipata del processo esecutivo per infruttuosità (art. 164-bis disp. att. c.p.c.) quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo.

Le motivazioni della sentenza sul caso delle donne scomparse di Viareggio - Velia Carmazzi e Semararo Maddalena-

Due donne, madre e figlia di 59 e 80 anni, sono svanite nel nulla da Torre del Lago (Lucca). Sono Velia Claudia Carmazzi e sua madre Maddalena Semeraro Entrambe sono originarie di Taranto. Vivevano in due roulotte in un terreno privato a Torre del Lago, una frazione di Viareggio (Lucca). A presentare ai Carabinieri la denuncia per entrambe a fine settembre è stato il 22enne figlio di Velia Claudia Carmazzi, scomparsa a metà agosto. Il giovane, che non viveva con la madre, avrebbe detto alle forze dell’ordine di essersi recato presso la sua roulotte in un pomeriggio di agosto e di averla trovata coperta con un lenzuolo, fredda, come priva di vita. Avrebbe quindi chiamato in aiuto un uomo vicino alla famiglia, da lui chiamato “zio”, anche se non ha rapporti di parentela. Questi gli avrebbe detto di non preoccuparsi e che si sarebbe preso lui cura della donna. Qualche giorno dopo il figlio della signora Carmazzi sarebbe tornato nella roulotte senza però trovare la madre. L’amico di famiglia gli avrebbe detto che la donna era stata trasportata a Milano da personale ASL per cure mediche, ma il giovane non è mai riuscito a contattarla. Qualche giorno dopo è scomparsa anche la nonna, Maddalena Semeraro, nonostante la sua infermità. Anche in questo caso lo “zio” avrebbe indicato che l’anziana era in ospedale a Milano, dove non è stato però possibile rintracciarla. Le due donne si sarebbero trovate da tempo in condizioni economiche molto difficili tanto da essere costrette a vivere in roulotte. La loro storia era anche seguita dagli assistenti sociali. Gli inquirenti ritengono improbabile che si siano allontanate spontaneamente.

Scarica le motivazioni della sentenza di primo grado della Corte D'Assise di Lucca:

https://drive.google.com/file/d/0B9JnPx5EMwqMeGF4b1hXYU5aY2s/edit?usp=sharing

NOVITA' DEL DECRETO LEGGE SBLOCCA ITALIA N 133/2014

Il decreto sblocca Italia introduce alcune novità in materia di locazione che si intendono mettere in luce:


Art.18. Liberalizzazione del mercato delle grandi locazioni ad uso non abitativo 1. Nell'articolo 79 della legge 27 luglio 1978, n. 392, dopo il secondo comma, è aggiunto il seguente:
«In deroga alle disposizioni del comma primo, nei contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, anche se adibiti ad attività
alberghiera, per i quali sia pattuito un canone annuo superiore ad euro 150 mila, è facoltà delle parti concordare contrattualmente termini e condizioni in deroga alle disposizioni della presente legge. I contratti di cui al periodo precedente devono essere provati per iscritto.».


Art. 19. Esenzione da ogni imposta degli accordi di riduzione dei canoni di locazione
1. La registrazione dell'atto con il quale le parti dispongono esclusivamente la riduzione del canone di un contratto di locazione ancora in essere è esente dalle imposte di registro e di bollo.




Art. 21. Misure per l'incentivazione degli investimenti in abitazioni in locazione
1. Per l'acquisto, effettuato dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2017, di unità immobiliari a destinazione residenziale, di nuova costruzione od oggetto di interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettere d), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, cedute da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare e da cooperative edilizie o da quelle che hanno effettuato i predetti interventi è riconosciuta all'acquirente, persona fisica non esercente attività
commerciale, una deduzione dal reddito complessivo pari al 20 per cento del prezzo di acquisto dell'immobile risultante dall'atto di compravendita nel limite massimo complessivo di spesa di 300.000 euro.

2. La deduzione di cui al comma 1 spetta, nella medesima misura e nel medesimo limite massimo complessivo, anche per le spese sostenute dal contribuente persona fisica non esercente attività
commerciale per prestazioni di servizi, dipendenti da contratti d'appalto, per la costruzione di un'unità immobiliare a destinazione residenziale su aree edificabili già possedute dal contribuente stesso prima dell'inizio dei lavori o sulle quali sono già
riconosciuti diritti edificatori. Ai fini della deduzione le predette spese di costruzione sono attestate dall'impresa che esegue i lavori.

3. Fermo restando il limite massimo complessivo di 300.000 euro, la deduzione spetta anche per l'acquisto o realizzazione di ulteriori unità immobiliari da destinare alla locazione.

4. La deduzione, spetta a condizione che:

a) l'unita' immobiliare acquistata o costruita su aree edificabili già
possedute dal contribuente prima dell'inizio dei lavori o sulle quali sono già riconosciuti diritti edificatori sia destinata, entro sei mesi dall'acquisto o dal termine dei lavori di costruzione, alla locazione per almeno otto anni e semprechè
tale periodo abbia carattere continuativo, il diritto alla deduzione, tuttavia, non viene meno se, per motivi non imputabili al locatore, il contratto di locazione si risolve prima del decorso del suddetto periodo e ne viene stipulato un altro entro un anno dalla data della suddetta risoluzione del precedente contratto;

b) l'unita' immobiliare medesima sia a destinazione residenziale, e non sia classificata o classificabile nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9;

c) l'unita' immobiliare non sia ubicata nelle zone omogenee classificate E, ai sensi del Decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444;

d) l'unita' immobiliare consegua
prestazioni energetiche certificate in classe A o B, ai sensi dell'allegato 4 delle Linee Guida nazionali per la classificazione energetica degli edifici di cui al Decreto Ministeriale 26 giugno 2009, ovvero ai sensi della normativa regionale, laddove vigente;

e) il canone di locazione non sia superiore a quello definito ai sensi dell'art. 2, comma 3, della legge 9 dicembre 1998, n. 431, ovvero a quello indicato nella convenzione di cui all'art. 18 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, ovvero a quello stabilito ai sensi dell'art. 3, comma 114, della legge 24 dicembre 2003, n. 350;

f) non sussistano rapporti di parentela entro il primo grado tra locatore e locatario.

5. La deduzione e' ripartita in otto quote annuali di pari importo, a partire dal periodo d'imposta nel quale avviene la stipula del contratto di locazione e non è cumulabile
con altre agevolazioni fiscali previste da altre disposizioni di legge per le medesime spese.

6. Le ulteriori modalità
attuative del presente articolo sono definite con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell'economia e delle finanze.

7. All'onere derivante dal presente articolo, pari a 10,1 milioni di euro per l'anno 2015, a 19,2 milioni di euro per l'anno 2016,a 31,6 milioni di euro per l'anno 2017, a 47,7 milioni di euro per l'anno 2018, a 45,5 milioni di euro per l'anno 2019, a 43,0 milioni di euro per gli anni 2020 e 2021, a 43,6 milioni di euro per l'anno 2022, a 24,9 milioni di euro per l'anno 2023, a 13,9 milioni di euro per l'anno 2024 e a 2,9 milioni di euro per l'anno 2025, si provvede, rispettivamente:

a) quanto a 10,1 milioni di euro per l'anno 2015, a 19,2 milioni di euro per l'anno 2016, a 1,6 milioni di euro per l'anno 2017, a 27,7 milioni di euro per l'anno 2018, a 45,5 milioni di euro per l'anno 2019, a 43,0 milioni di euro per gli anni 2020 e 2021, a 43,6 milioni di euro per l'anno 2022, a 24,9 milioni di euro per l'anno 2023, e a 13,9 milioni di euro per l'anno 2024 e a 2,9 milioni per l'anno 2025 mediante riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307, relativa al Fondo per interventi strutturali di politica economica;

b) quanto a 30 milioni di euro per l'anno anni 2017 e quanto a 20 milioni per l'anno 2018, mediante riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 2, comma 3, del decreto-legge 28 dicembre 1998, n.451, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1999, n. 40, e successive modificazioni."


Art. 23. Disciplina dei contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili

1. I contratti, diversi dalla locazione finanziaria, che prevedono l'immediata concessione del godimento di un immobile, con diritto per il conduttore di acquistarlo entro un termine determinato imputando al corrispettivo del trasferimento la parte di canone indicata nel contratto, sono trascritti ai sensi dell' articolo 2645-bis codice civile. La trascrizione produce anche i medesimi effetti di quella di cui all' articolo 2643, comma primo, numero 8) del codice civile.

2. Il contratto si risolve in caso di mancato pagamento, anche non consecutivo, di un numero minimo di canoni, determinato dalle parti, non inferiore ad un ventesimo del loro numero complessivo.

3. Ai contratti di cui al comma 1 si applicano gli articoli 2668, quarto comma, 2775-bis e 2825-bis del codice civile. Il termine triennale previsto dal comma terzo dell'articolo 2645-bis del codice civile e' elevato a tutta la durata del contratto e comunque ad un periodo non superiore a dieci anni. Si applicano altresì
le disposizioni degli articoli da 1002 a 1007 nonché degli articoli 1012 e 1013 del codice civile, in quanto compatibili. In caso di inadempimento si applica l'articolo 2932 del codice civile.

4. Se il contratto di cui al comma 1 ha per oggetto un'abitazione, il divieto di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 20 giugno 2005, n.122, opera fin dalla concessione del godimento.

5. In caso di risoluzione per inadempimento del concedente, lo stesso deve restituire la parte dei canoni imputata al corrispettivo, maggiorata degli interessi legali. In caso di risoluzione per inadempimento del conduttore, il concedente ha diritto alla restituzione dell'immobile ed acquisisce interamente i canoni a titolo di indennità
', se non e' stato diversamente convenuto nel contratto.

6. In caso di fallimento del concedente il contratto prosegue, fatta salva l'applicazione dell'articolo 67, comma 3, lettera c), del regio decreto 16 marzo 1942, n.267, e successive modificazioni. In caso di fallimento del conduttore, si applica l'articolo 72 del regio decreto 16 marzo 1942, n.267, e successive modificazioni; se il curatore si scioglie dal contratto, si applicano le disposizioni di cui al comma 5.

7. Dopo l'articolo 8, comma 5, del decreto-legge 28 marzo 2014, n.47, convertito con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n.80, e' aggiunto il seguente: "5-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai contratti di locazione con clausola di trasferimento della proprietà
vincolante per ambedue le parti e di vendita con riserva di proprietà,
stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della presente disposizione.".

8. L'efficacia della disposizione di cui al comma 7 e' subordinata al positivo perfezionamento della procedimento di autorizzazione della Commissione Europea di cui all'articolo 107 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), di cui e' data comunicazione nella gazzetta ufficiale.



Per qualsiasi consulenza o chiarimento contattare il seguente indirizzo mail chiara.consani@virgilio.it

martedì 9 settembre 2014

MODIFICAZIONI DELLE DESTINAZIONI D'USO DEI BENI COMUNI


Art 1117 ter c.c. (Articolo aggiunto dall’art. 2, comma 1, L. 11 dicembre 2012, n. 220, a decorrere dal 17 giugno 2013, ai sensi di quanto disposto dall’art. 32, comma 1, della medesima legge n. 220/2012)

“1. Per soddisfare esigenze di interesse condominiale, l'assemblea, con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell'edificio, può modificare la destinazione d'uso delle parti comuni.

2. La convocazione dell'assemblea deve essere affissa per non meno di trenta giorni consecutivi nei locali di maggior uso comune o negli spazi a tal fine destinati e deve effettuarsi mediante lettera raccomandata o equipollenti mezzi telematici, in modo da pervenire almeno venti giorni prima della data di convocazione.

3. La convocazione dell'assemblea, a pena di nullità, deve indicare le parti comuni oggetto della modificazione e la nuova destinazione d'uso.

4. La deliberazione deve contenere la dichiarazione espressa che sono stati effettuati gli adempimenti di cui ai precedenti commi.

5. Sono vietate le modificazioni delle destinazioni d'uso che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che ne alterano il decoro architettonico.”

La novella di cui all’art. 1117-ter comma 1 consente di modificare la destinazione d’uso delle parti comuni e, quindi, ammettendo un loro uso del tutto differente da quello originario.

Il legislatore, con questa norma, ha cercato di far trarre, ai condomini, la massima fruibilità ad alcune parti comuni, ponendo in ogni modo dei limiti molto rigorosi, ciò, in un ‘ottica di bilanciamento degli interessi dei singoli rispetto alla collettività di far parimenti uso del bene .

Con il nuovo art. 1117-ter c.c. è stata introdotta, una “proibitiva” maggioranza per le delibere e un procedimento di convocazione estremamente articolato.

Invero, si tratta di una maggioranza particolarmente qualificata e rigorosa, tanto da poter risultare di difficile conseguimento soprattutto in riferimento alle presenze normalmente ottenibili in assemblea.

LA TUTELA NEL CASO DI ABUSO DI UN CONDOMINO NELL’USO DELLE PARTI COMUNI

Art 1117 quater c.c. (Articolo aggiunto dall’art. 2, comma 1, L. 11 dicembre 2012, n. 220, a decorrere dal 17 giugno 2013, ai sensi di quanto disposto dall’art. 32, comma 1, della medesima legge n. 220/2012)

“In caso di attività contraria alla destinazione d’uso delle parti comuni o delle unità immobiliari di proprietà esclusiva, ogni condomino può diffidare l’amministratore affinché entro trenta giorni agisca per la tutela degli interessi comuni.

In mancanza dell’amministratore o se l’amministratore non provvede entro trenta giorni dalla diffida, ogni condomino può chiedere che il tribunale ne ordini la cessazione in via di urgenza, salvo in ogni caso il risarcimento del danno.

Il danno deve essere determinato tenendo conto degli incrementi di valore, degli investimenti compiuti e dei benefici ricavati da ciascun interessato, nonché della gravità della colpa e dell’esigenza di scoraggiare reiterazioni.”

 

In forza di tale norma in caso di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d'uso delle parti comuni, l'amministratore o i condomini, anche singolarmente, possono diffidare l'esecutore e possono chiedere la convocazione dell'assemblea per far cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie. L'assemblea delibera in merito alla cessazione di tali attività con la maggioranza prevista dal II comma dell'art. 1136 cod.civ..

Va osservato che la norma richiede, ai fini del legittimo esercizio della facoltà di operare la diffida, un duplice requisito. L'attività deve incidere in maniera negativa e, parallelamente, anche in modo sostanziale sulle destinazioni d'uso degli enti comuni.

Non viene fornito un confine certo tra la legittima attività di utilizzo del bene e quella che non rientra nel suo ordinario uso. La tolleranza non comporta alcuna conseguenza. Il comportamento può non essere legittimo anche se viene tollerato dalla collettività degli abitanti dell'edificio.

La legittimazione attiva sostanziale contro il trasgressore è sia in capo all'amministratore, quale mandatario dell'edificio, sia in capo ai singoli condomini ; in tal senso può configurarsi come legittimazione alternativa.

Questi possono singolarmente diffidare l'esecutore chiedendo la cessazione immediata dell'attività "vietata" o possono convocare l'assemblea affinché la riunione decida al riguardo, domandando la cessazione delle attività.

La reale novità di tale disposizione risiede, quindi, nella previsione che il singolo possa richiedere la riunione assembleare perché si ponga fine alla violazione: nell’ordinamento vigente, infatti, fuori dei casi diversamente disciplinati, la richiesta di convocazione può essere presentata da almeno due condomini che rappresentino un sesto del valore dell’edificio (art. 66 disp. att. c.c.).

Per chiarimenti e consulenze scrivere alla seguente mail: chiara.consani@virgilio.it

 

OBBLIGHI DELL’INQUILINO DI PERMETTERE LA VISITA DELL’IMMOBILE LOCATO DA PARTE DEL LOCATORE


Anche in mancanza di una clausola contrattuale, la giurisprudenza riconosce, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, che «il locatore, nonostante il silenzio del titolo, può far visitare la cosa locata, con le modalità di cui agli usi localmente vigenti, al fine di potere stipulare altro contratto di locazione, allo scadere di quello in corso, ovvero di vendere la cosa locata, e il conduttore che opponga ingiustificati rifiuti all’effettuazione di tali visite incorre in un inadempimento che può costituire causa di risoluzione del contratto» (Cassazione 17 settembre 1981, n. 5147).

Pertanto il locatore ha diritto a far visitare la cosa locata, con le modalità dettate dagli usi localmente vigenti, al fine di poter vendere il bene. Inoltre gli ingiustificati rifiuti opposti dall'inquilino a dette visite sono idonei a configurare un inadempimento, il quale può costituire causa di risoluzione del contratto e fondare una richiesta di risarcimento dei danni.

Nel caso in cui siano il pericolo di risoluzione del contratto non spaventa l’inquilino in quanto già pendenti azioni volte ad ottenere il rilascio, il locatore può chiedere di agire contro il conduttore per ottenere un provvedimento che lo autorizzi alla visita dei locali. Si veda in questo senso, Pretura di Roma, 11 febbraio 1980, secondo cui «il proprietario di un immobile ha il diritto, nonostante il silenzio del titolo e con le modalità di cui agli usi locali, di visitare il bene dato in locazione e tale diritto è tutelabile, in via d’urgenza, ex articolo 700, codice procedura civile, giacché appare minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile atteso che per tutta la durata del giudizio di merito il titolare di esso si troverebbe impedito nella vendita dell’immobile e la situazione giuridica di cui egli è titolare non potrebbe più essere esercitata, se non con danno maggiore di quanto possa essergli risarcito con il giudizio di merito».

 

Per chiarimenti e consulenze scrivere alla seguente mail: chiara.consani@virgilio.it

 

venerdì 5 settembre 2014

CESSIONI INTRACOMUNITARIE DI IMBARCAZIONI


CESSIONI INTRACOMUNITARIE DI IMBARCAZIONI

AI FINI DELLA NON IMPONIBILITA’ IVA

PROVA DELLA FUORIUSCITA DEL BENE DAL

TERRITORIO DELLO STATO (ART.

41 DEL DL 331 N. 1993)

RISOLUZIONE AGENZIA DELLE ENTRATE N 71e

Per beneficiare della non imponibilità IVA l’operatore nazionale che cede imbarcazioni trasportate direttamente via mare dal cessionario in altro Stato UE cosa deve assicurarsi ai fini di garantire la propria buona fede necessaria per la non imponibilita iva.?

Ai sensi dell'art. 41, comma 1, lettera a), del D.L. citato, costituiscono operazioni non imponibili le cessioni a titolo oneroso di beni trasportati o spediti nel territorio di un altro Stato membro dal cedente, dall'acquirente o da terzi per loro conto, nei confronti di soggetti passivi d'imposta. Ne consegue che l'effettiva movimentazione del bene dall'Italia ad un altro Stato membro rappresenta una tra le condizioni necessarie per l'applicazione del regime di non imponibilità di cui al citato articolo 41. In tema di prova della movimentazione del bene dallo Stato di partenza del bene allo Stato di destino, la Direttiva 2006/112/CE non conferisce alcuna indicazione circa la forma e la tipologia della stessa, lasciando, invece, che siano gli Stati membri a definire ciò, nel momento in cui fissano le condizioni e i requisiti per l'applicazione del regime di non imponibilità (cfr. risoluzione n. 19/E del 2013).

Stante la mancanza nell'ordinamento interno di una norma che stabilisca quali documenti siano idonei a dimostrare l'avvenuto trasferimento del bene dall'Italia ad altro Stato membro, la prassi amministrativa ha fornito alcuni chiarimenti in merito.
In primo luogo, l'amministrazione ha stabilito che può costituire prova idonea dell'uscita del bene dal territorio dello Stato " l'esibizione del documento di trasporto da cui si evince l'uscita delle merci dal territorio dello Stato per l'inoltro ad un soggetto passivo d'imposta identificato in altro Paese comunitario".
Accanto al predetto documento, di natura non fiscale, corre l'obbligo per il cedente di conservare gli elenchi riepilogativi delle operazioni intracomunitarie, le fatture, la documentazione bancaria dalla quale risulti traccia delle somme riscosse in relazione alle cessioni intracomunitarie, i contratti attestanti gli impegni intrapresi tra le parti che hanno dato origine alla cessione intracomunitaria (cfr. ris. n. 345/E del 2007).
In secondo luogo, nelle ipotesi in cui il cedente non abbia provveduto direttamente al trasporto ( non essendoci valico doganale nelle cessioni UE) e non sia in grado pertanto di reperire il documento relativo (ad esempio in caso di cessioni franco fabbrica), l'amministrazione ha stabilito il principio per cui la prova del trasferimento del bene "può essere fornita con qualsiasi altro documento idoneo a dimostrare che le merci sono state inviate in altro Stato membro" (cfr. ris. n. 477/E del 2008).
Con riferimento alla prova della cessione intracomunitaria, dai documenti di prassi sopra richiamati emergono due principi:
1) quando non è possibile esibire il documento di trasporto sono ammissibili altri mezzi di prova idonei;
2) la prova dell'avvenuto trasferimento del bene in altro Stato membro deriva da un insieme di documenti da cui si ricava, con sufficiente evidenza, che il bene è stato trasferito dallo Stato del cedente a quello dell'acquirente.
In applicazione dei predetti principi, si esprime l'avviso che il contribuente, nel caso di specie, possa fornire la prova in argomento attraverso l'esibizione della seguente documentazione:
a) fattura di vendita dell'imbarcazione;
b) documentazione bancaria dalla quale risulti traccia delle somme riscosse in relazione all'operazione effettuata;
c) contratti attestanti gli impegni intrapresi tra le parti che hanno dato origine alla cessione intracomunitaria;
d) documentazione commerciale che attesti il passaggio di proprietà tra cedente e cessionario;
e) documento da cui risulti la cancellazione da parte del cedente della imbarcazione dal registro italiano;
f) documento da cui risulti la avvenuta iscrizione della imbarcazione nel registro francese;
g) elenco riepilogativo delle operazioni intracomunitarie (Intrastat).
Inoltre, data la natura del bene (imbarcazione) e la circostanza che lo stesso viene trasportato dal cessionario, in aggiunta alla documentazione sopra elencata e in sostituzione del documento di trasporto, occorre fornire anche una dichiarazione da parte del cessionario - corredata da idonea documentazione -(ad esempio il contratto di ormeggio stipulato con il porto di destinazione), che attesti di avere condotto l'imbarcazione da un porto italiano ad un porto francese.
Infine, l'applicazione del regime di non imponibilità alla cessione dell'imbarcazione, ai sensi dell'art. 41 del D.L. n. 331 del 1993, comporta l'obbligo per il cedente di osservare un "comportamento diligente" richiesto in relazione alla operazione posta in essere.
Sul punto, infatti, la Corte di giustizia Ue ha stabilito che "l'amministrazione può esigere che il fornitore adotti tutte le misure necessarie per evitare di partecipare ad una frode fiscale (sentenza 27 settembre 2007, C-409/04, punto 65).
La Corte di Cassazione, seguendo tale orientamento, in tema di dovere di diligenza del cedente, ha stabilito che " mentre può certamente escludersi che il cedente sia tenuto a svolgere attività investigative sulla movimentazione subita dai beni ceduti dopo che gli stessi siano stati consegnati al vettore incaricato dal cessionario - deve invece affermarsi il dovere del cedente di impiegare la normale diligenza richiesta ad un soggetto che pone in essere una transazione commerciale e, quindi, di verificare con la diligenza dell'operatore commerciale professionale le caratteristiche di affidabilità della controparte" (sentenza n. 13457 del 27 luglio 2012).

mercoledì 27 agosto 2014

OPPOSIZIONE ALLA DONAZIONE DIRETTA - INDIRETTA - SIMULATA


L’OPPOSIZIONE ALLA DONAZIONE DIRETTA

SCOPI E FINI NEI CONFRONTI DEI TERZI AVENTI CAUSA

Art 563 c.c.

La reintegrazione dei diritti del legittimario si compie dapprima attraverso l’esperimento dell'azione di riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni che provocano la lesione della legittima, e poi con l’esperimento dell'azione di restituzione nei confronti dei beneficiari delle disposizioni ridotte e dell'azione di restituzione nei confronti dei loro aventi causa

La legge n.80/2005 ha novellato il quadro normativo di riferimento, e le novità concernono:

1)      LA TUTELA DEGLI ACQUIRENTI DI BENI PROVENIENTI DA DONAZIONE:

Prima del 15 maggio 2005, data di entrata in vigore della citata legge, i terzi acquirenti dei beni donati o pervenuti per testamento al loro dante causa erano sempre a rischio di doverli restituire al legittimario leso, e difficilmente potevano, poi, soddisfare il loro credito di regresso.

La novità introdotta nel quadro normativo è che l'azione di restituzione nei confronti dei terzi aventi causa non può essere promossa qualora siano decorsi oltre venti anni dalla donazione; Al fine di evitare che il termine ventennale pregiudichi i legittimari, costoro possono formulare un'opposizione stragiudiziale alla donazione.

In pratica essi notificano la volontà e la ferma determinazione di opporsi alla donazione al beneficiario della stessa, e la rendono pubblica mediante trascrizione nei registri della conservatoria immobiliare. In tal caso, il termine di venti anni è sospeso, ed i terzi ben si guarderebbero dall'acquistare beni precedentemente donati.

Le disposizioni contenute nella citata legge, hanno previsto, pertanto, un'ulteriore scadenza ventennale, entro cui i legittimari devono esercitare le loro pretese, altrimenti non potranno più rivendicare le loro ragioni verso i terzi acquirenti, ed in tal modo hanno agevolato e migliorato la circolazione giuridica dei beni provenienti da donazioni; ma al contempo hanno istituito l'opposizione alla donazione che costituisce, sicuramente, una maggiore tutela per i legittimari lesi.

L’effetto della opposizione è quello di sospendere il decorso del ventennio dalla donazione conservando in tal modo l’azione di restituzione contro il terzo avente causa dal donatario ed evitando l’effetto purgativo dei pesi e delle ipoteche.

L’OPPOSIZIONE ALLE DONAZIONI INDIRETTE E/O SIMULATE

SCOPI E FINI NEI CONFRONTI DEI FUTURI COEREDI

2)      LA TUTELA DEL LEGITTIMARIO NON DONATARIO NEI CONFRONTI DEL DONATARIO AI FINI DELLA FUTURA COLLAZIONE E DEL CALCOLO DELLA LEGITTIMA;

Una volta accertato che la nuova legge sancisce che l’atto di opposizione va diretto contro l’atto di donazione, sorge immediatamente la questione di approfondire se l’opposizione sia proponibile anche contro le donazioni “indirette” o “dissimulate” (“dietro” un atto non donativo) e quindi, conseguentemente, di verificare il tema della trascrivibilità di una tale opposizione nei Registri Immobiliari.

Prima della novella del 2005, l’azione di simulazione finalizzata all’esperimento della azione di riduzione a tutela del legittimario leso da un atto sostanzialmente donativo ma formalmente oneroso non era ovviamente concepibile prima della morte del donante poiché solo a questo punto ci si poteva porre un problema di lesione della legittima

Dopo la novella del 2005, invece, in vita del donante ben si può invece porre il problema della declaratoria della simulazione, poiché si tratta non più di una azione di simulazione finalizzata all’ esperimento dell’azione di riduzione ma di una azione di simulazione finalizzata alla trascrizione dell’atto di “opposizione”.

Pertanto durante la vita del “donante” e prima del decorso del ventennio, il legittimato a proporre “opposizione” in tanto potrà trascriverla in quanto preventivamente trascriva una domanda giudiziale di accertamento della simulazione dell’atto formalmente oneroso cosi il terzo acquirente che trascrive il proprio acquisto dopo la trascrizione della domanda di simulazione non può beneficiare del decorso del ventennio e quindi resta esposto ad un possibile esperimento dell’azione di restituzione.

PER CHIARIMENTI E CONSULENZE SCRIVERE ALLA SEGUENTE MAIL: CHIARA.CONSANI@VIRGILIO.IT

lunedì 30 giugno 2014

IL DECRETO SALVA INQUILINI: DUBBI E PERPLESSITA'

IL DECRETO SALVA INQUILINI DL 47/14 (convertito nella L. 80/14) e precisamente l’art. 5 comma 1-ter.

Il legislatore è reintervenuto come avevamo previsto con l’art. 5 comma 1 ter della l 80/2014, che ha fatto salvi fino al 31.12.15 gli effetti e i rapporti sorti dai contratti nati ex art. 3.
 
Questa norma è stata emanata con il solo intento di evitare agli inquilini di pagare gli arretrati e di godere per un altro anno e mezzo del pagamento del canone ridotto.

La legge che ha nuovamente soccorso gli affittuari stabilisce, infatti, che sono fatti salvi, fino al 31 dicembre 2015, gli effetti prodotti e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell’articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23.
 
La norma ha voluto, puramente e semplicemente, procrastinare gli effetti di una norma dichiarata incostituzionale: in questo caso è ineluttabile un nuovo intervento della Corte volto a sanzionare la violazione del giudicato costituzionale.

Si evidenzia a tal fine la copiosa giurisprudenza costituzionale che impedisce al legislatore di fare salvi o prolungare gli effetti di una norma incostituzionale.

Restano dubbi e perplessità in merito a questa nuova normativa.
Non ci resta che attendere le numerose sentenze che stanno emettendo i vari Tribunali in merito agli sfratti richiesti e ottenuti nonostante le norme incostituzionali che il nostro paese riesce inesorabilmente ad approvare.

 
 


DIRITTO DEL LAVORO LA TRANSAZIONE


Somme corrisposte dal datore di lavoro al proprio dipendente in esecuzione di una transazione, conseguita al fine di evitare l’insorgere di una lite. Assoggettabilità a contribuzione degli importi corrisposti nell’ambito dell’accordo transattivo.

Con sentenza n. 9180 del 23 aprile 2014, la Cassazione ha affermato che di per se stesso il titolo transattivo attribuito dalle parti alla erogazione di una somma, finalizzata anche a prevenire una lite e senza alcun riconoscimento relativo all’intercorso rapporto di lavoro, non è idoneo ad escludere la pretesa contributiva dell’INPS. Alla base delle motivazioni ci sono alcuni ragionamenti che scaturiscono dai contenuti dell’art. 12 della legge n. 153/1969 che ricomprende nella natura dell’imponibile contributivo tutto ciò che il prestatore ha percepito in relazione al rapporto di lavoro. Sotto l’aspetto contributivo la nozione di retribuzione è molto ampia e tale da superare i confini della corrispettività, essendo escluse unicamente le erogazioni frutto di una causa diversa e distinta dal rapporto , nonché le voci riportate nell’ art. 12 della suddetta legge.

La Suprema Corte, ha preso le mosse dalla L. 153/1969 (art. 12) la quale dispone che “per la determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale, si considera retribuzione tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta, in dipendenza del rapporto di lavoro”.

La norma è stata interpretata autenticamente dal D.L. 173/1988 (convertito in L. 291/1988) nel senso che “dalla retribuzione imponibile sono escluse anche le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori”.

Dalla sopracitata disciplina legislativa consegue che affinché sia esclusa la debenza dell’obbligo contributivo occorre che risulti un titolo autonomo diverso e distinto dal rapporto di lavoro, che giustifichi la corresponsione della somma nell’ambito della transazione, a nulla rilevando una volontà negoziale che regoli in maniera diversa la obbligazione retributiva, ovvero risolva con un contratto di transazione la controversia insorta in ordine al rapporto di lavoro.

La Suprema Corte ha rilevato come gli accordi transattivi prendessero le mosse da pretese dei lavoratori collegate al rapporto di lavoro di talché restava ininfluente la volontà delle parti contraenti di escludere tale nesso, non potendo siffatta intenzione valere ad elidere gli effetti che la legge correla ad erogazioni comunque connesse al rapporto di lavoro.

Quanto alla volontà dichiarata dalle parti di attribuire la somma quale incentivo all’esodo, la Corte di Cassazione ha rilevato la ingiustificatezza di una elargizione finalizzata ad agevolare la fuoriuscita del dipendente dall’azienda, per un rapporto di lavoro già cessato al momento della pattuizione.

Pertanto alla luce di tale sentenza gli emolumenti elargiti ai lavoratori nell’ambito transattivo, anche a titolo di incentivo all’esodo, rientrano nell’ampio concetto di retribuzione imponibile ai fini contributivi, di cui alla L. 153/1969, e per l’effetto sono soggetti a contribuzione.

mercoledì 19 marzo 2014

DECRETO LEGISLATIVO 23/2011 LA PRONUNCIA DELLA CORTE COSTITUZIONALE SENTENZA 50/2014,


La Consulta cancella le sanzioni previste dall'articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 23/2011 per i contratti in nero.

La Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale per eccesso di delega dell'art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs. n. 23/2011, nella parte in cui prevedeva la possibilità del conduttore di registrare tardivamente il contratto di locazione “in nero”, ottenendo un “nuovo” contratto di durata quadriennale e con riduzione del canone d'affitto pari al triplo della rendita catastale dell'immobile. Una disciplina estesa anche alle ipotesi di contratto di locazione registrato con un canone inferiore a quello effettivo e di contratti di comodato

Tale norma così disponeva: “ Ai contratti di locazione degli immobili ad uso abitativo, comunque stipulati, che, ricorrendone i presupposti, non sono registrati entro il termine stabilito dalla legge, si applica la seguente disciplina:

a) la durata della locazione è stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d'ufficio;

b) al rinnovo si applica la disciplina di cui all'articolo 2, comma 1, della citata legge n. 431 del 1998;

c) a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione è fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l'adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell'aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai. Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti.

La dichiarazione di incostituzionalità di una legge o di un atto avente forza di legge rende la norma inefficace ex tunc e, quindi, estende la sua invalidità a tutti i rapporti giuridici ancora pendenti al momento della decisione della corte, pertanto finiranno nel nulla i contratti che sono stati registrati dagli inquilini e dai funzionari del Fisco a partire dal 6 giugno 2011.

Gli inquilini che hanno denunciato all’agenzia delle entrate il contratto di locazione in nero dovranno  liberare l'abitazione, perché il contratto cadrà insieme alla norma di legge che lo prevedeva, inoltre il proprietario avrà diritto a un'indennità per l'arricchimento senza causa, e per indebita occupazione nel caso di ritardata consegna dell’immobile.

Per chiarimenti e consulenze scrivere alla seguente mail: chiara.consani@virgilio.it

venerdì 14 marzo 2014

Recesso unilaterale da contratto di locazione per crisi economica

Come noto, il recesso dai contratti di locazione degli immobili ad uso commerciale è disciplinato dagli ultimi due commi dell’art. 27 della legge n° 392 del 1978.

Tale legge prevede la facoltà delle parti di inserire nel contratto, clausole che diano la possibilità per il conduttore di poter recedere dal contratto, senza obbligo di motivazione, con un preavviso di mesi sei da effettuarsi a mezzo lettera raccomanda r.r..

Tuttavia, in assenza di una tale pattuizione, nel silenzio delle parti, l’ultimo comma dell’art. 27 prevede che il conduttore, solo per gravi motivi, possa recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi sempre con lettera raccomandata r.r..

 Definire oggettivamente i “gravi motivi” è compito arduo, perché si offre la possibilità al Giudice del merito un ampia casistica di valutazione, che non sempre corrisponde con le desiderata delle parti.

La recente sentenza n° 549 del 17.01.2012 della Cassazione Civile, ha negato che la generica crisi economica eccepita, fosse “grave motivo” invocato per il recesso.

La Suprema Corte ha motivato sul punto, come i  gravi motivi debbano ricercarsi in fatti involontari, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto contrattuale,  ed essere tali da rendere oltremodo gravosa per il conduttore, sotto il profilo economico, la prosecuzione della locazione.

In buona sostanza, poiché la legge n° 392/1978 tutela l’interesse di entrambe le parti alla prosecuzione del contratto, risulta necessario che la parte recedente giustifichi la richiesta chiarendo quali siano di fatto “gravi motivi” che come anzidetto debbono essere estranei, imprevedibili e sopravvenuti alla stipula del contratto.

Ora, pur essendo pacifico che la crisi economica che sta investendo il nostro paese ben possa essere considerata estranea (al rapporto), imprevedibile e sopravvenuta, tuttavia il locatore deve essere messo nella possibilità di contestare gli assunti di colui che intenderebbe esercitare il recesso, che pertanto non possono essere generici , né possono derivare da situazioni soggettive quali l’opportunità di continuare ad utilizzare l’immobile oggetto di locazione, o la riduzione del volume d’affari. Altrimenti il rischio d’impresa ricadrebbe sul locatore.

Quindi, secondo la Suprema Corte, la crisi economica è un motivo generico e vago al fine di legittimare il recesso, se sfornita da altri motivi oggettivamente imprevedibili e sopravvenuti alla stipula del contratto, ben evidenziati ed eccepiti, tali da rendere oggettivamente gravoso la continuazione del rapporto contrattuale, talché il locatore possa eventualmente contestarli e su di essi instaurare un vero e proprio contraddittorio.

 

Avv. Alberto Consani

mercoledì 5 febbraio 2014

Concordato “in bianco” e contratti pendenti

Il novellato art. 161 comma 6 l.fall. offre la possibilità per l’azienda in crisi, rectius l’imprenditore, di depositare al competente Tribunale un ricorso corredato da pochissimi dati essenziali, prenotativo di una vera e propria domanda di concordato.

La prassi ha definito tale istituto, nuovo per il nostro diritto fallimentare, come concordato “in bianco”,  “pre-concordato”, “domanda prenotativa” etc., che ha lo scopo di far emergere la crisi dell’azienda e tuttavia consente la cristallizzazione del patrimonio del debitore. In buona sostanza impedisce ai singoli creditori di iniziare o proseguire iniziative esecutive sui beni dell’impresa in difficoltà, nelle more della presentazione della domanda completa del piano concordatario che richiede tempo.

La legge, come anzidetto, impone l’obbligo del deposito degli ultimi tre bilanci, la rendicontazione periodica e l’impossibilità di presentazione della domanda stessa, ove l’imprenditore ne abbia già presentata un'altra nel biennio precedente.

L’argomento che oggi vado a focalizzare, è relativo alla sorte dei contratti pendenti ed in corso d’esecuzione nel concordato preventivo, così come regolato dall’art. 169 bis L. fall., ove gli stessi siano troppo onerosi per l’azienda in crisi.

Il medesimo art. 169 bis l.fall. permette infatti al debitore in concordato di domandare, o nel ricorso introduttivo, o successivamente allo stesso, l’autorizzazione al Tribunale ,per sciogliersi dai contratti in corso ed anche, eventualmente a sospenderne solo alcuni di essi.

Naturalmente è bene subito chiarire che la presentazione della domanda di concordato non è di per sé causa di risoluzione dei contratti in essere, talché il giudizio prognostico di convenienza per il loro scioglimento è demandato agli organi della procedura che valuteranno caso per caso nell’interesse esclusivo dei creditori.

Da ciò ne consegue come di norma, l’autorizzazione allo scioglimento dei contratti, possa essere valutata con favore ove si tratti di contratti particolarmente onerosi e non più necessari per il proseguimento dell’attività, specialmente ove questa avvenga in misura ridotta rispetto a quella dell’azienda in bonis, anche per ragioni di giro d’affari o per ridotta capacità finanziaria: cash flow.

L’art. 169 bis l.fall., delimita poi in modo ben preciso quali contratti non possano essere sciolti, evidenziando in primis, come siano esclusi i rapporti di lavoro subordinato.

Ciò chiarito, appare evidente come la disciplina di riferimento sia finalizzata all’interesse supremo del ceto creditorio. Tuttavia, rimane un quid juris: sarà possibile applicare tale normativa al concordato con riserva, c.d. “in bianco” o “prenotativo”, di cui abbiamo dato conto, posto che all’atto del deposito della domanda-ricorso, manca un preciso schema di risoluzione della crisi?

La giurisprudenza nel tempo ha ritenuto prevalentemente applicabile la norma di cui all’art. 169 bis l.fall. anche alla domanda con riserva od “in bianco”, osservando come la norma di cui all’articolo in questione richiami l’art. 161 l.fall. senza effettuare un distinguo fra la domanda c.d. “in bianco” e quella vera e propria, completa in buona sostanza in ogni sua parte, compreso il fatidico piano e nella quale l’imprenditore abbia “svelato” la propria scelta ai creditori, optando ad esempio per un concordato liquidatorio anziché per uno “in continuità”, posizioni evidentemente antitetiche fra di loro giacché uno prevede la cessazione dell’attività e l’altro, invece, la continuità o la sopravvivenza dell’azienda.

In questa direzione si sono infatti pronunciati alcuni Tribunali, chiedendo infatti al ricorrente di anticipare la tipologia del concordato prescelto. Al fine di offrire al Tribunale, ad agli organi della procedura, di valutare la convenienza nell’interesse dei creditori. Diverse, infatti, possono essere le convenienze per i creditori, come anzidetto, a secondo di quale via si prenda.

Altri Tribunali, invece, hanno ritenuto addirittura la norma non applicabile alla domanda di concordato “in bianco”, ad altri ancora propendono, al limite, per una sospensione dei contratti nella fase “pre-concordataria” e non per lo scioglimento.

La ratio di una tale duplice interpretazione è evidente. Da una parte si ritiene che la domanda prenotativa, produca solo effetti di conservazione del patrimonio del debitore, in attesa della valutazione di ammissibilità da parte del Tribunale, e pertanto nelle more non si possa stravolgere l’impresa che nello stesso tempo sarebbe tenuta anche al pagamento di un indennizzo. Dall’altra, la ratio è dettata da ragioni strettamente giuridiche: l’art. 169 bis. L. fall. non fa esplicito riferimento al ricorso ex art. 161 comma 6 l.fall., mentre tale richiamo è contenuto nell’art. 182 quinques.

In buona sostanza e concludendo, a parere dello scrivente pare logico propendere, nella fase “pre-concordataria”, cioè dopo aver presentato la domanda in bianco o contestualmente ad essa, nelle more del termine imposto dal Tribunale per la presentazione della domanda vera e propria e del relativo piano, per una eventuale richiesta al Tribunale di sospensione temporanea dei contratti più onerosi o non più essenziali per il proseguimento dell’attività, e solo alla presentazione del piano definitivo domandare invece, una volta esplicata la road-map concordataria, lo scioglimento dai contratti gravosi che comporterà, nella maggior parte dei casi la corresponsione di un equo indennizzo.

Avv. Alberto Consani