lunedì 31 agosto 2015

L’INCOSTITUZIONALITA’ DEL DECRETO SALVA INQUILINI N47/2014 CONVERTITO CON L.80/2014


LA SENTENZA CORTE COSTITUZIONALE N.169/2015
 
Giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014 n. 47 (Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015) convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 maggio 2014, n. 80,

La disposizione all’esame è stata introdotta in sede di conversione, ad opera della legge n. 80 del 2014, del d.l. n. 47 del 2014, a seguito e in conseguenza della sentenza di questa Corte n. 50 del 2014, depositata il 14 marzo 2014, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs. n. 23 del 2011, in tema di rideterminazione ex lege di elementi di contratti di locazione non registrati nei termini. Essa è stata inserita nell’ambito di un provvedimento diretto in primis, secondo le intenzioni dichiarate nel preambolo del provvedimento d’urgenza, «a fronteggiare la grave emergenza abitativa in atto e a adottare misure volte a rilanciare in modo efficace il mercato delle costruzioni» e nel contesto di un articolo (il 5) dedicato, secondo l’originaria rubrica, alla «Lotta all’occupazione abusiva di immobili». Con essa il legislatore ha, nella sostanza, prorogato l’efficacia e la validità dei contratti di locazione registrati sulla base delle disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime.

La disposizione censurata si porrebbe, dunque, in contrasto, anzitutto con l’art. 136 Cost., in quanto il legislatore avrebbe inteso non già introdurre una norma riproduttiva di quella precedente, ma solo enunciare «una “clausola di salvaguardia”» volta a preservare gli effetti prodottisi in applicazione delle disposizioni dichiarate incostituzionali ed i rapporti che ne erano stati originati; senza, per di più, che il richiamo ai “diritti quesiti” ed ai “rapporti consolidati” – ai quali ha fatto riferimento il parere espresso, nella fase di conversione in legge, dalla Commissione permanente affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni della Camera dei deputati – risulti corretto né pertinente, trattandosi di rapporti di durata non sciolti né estinti e senza possibilità di alcuna “cristallizzazione” dei relativi effetti.

Sarebbe poi compromesso anche l’art. 3 Cost., in quanto si sarebbe introdotto un regime irragionevolmente discriminatorio rispetto ai medesimi rapporti di locazione, dal momento che, a seguito della predetta dichiarazione di illegittimità costituzionale, sarebbe venuta meno la funzione «preventiva e deterrente» circa l’adempimento degli obblighi tributari connessi alla tempestiva registrazione dei contratti di locazione: il che renderebbe priva di ragion d’essere la previsione di un «termine finale» scollegato dalla originaria funzione.

Si denuncia, infine, la violazione anche dell’art. 42, secondo comma, Cost., in quanto la facoltà del legislatore di limitare la proprietà privata è tuttavia sottoposta al rispetto del «limite teleologico della funzionalità alle esigenze delle collettività, mediante un bilanciamento di interessi di rango costituzionale che non può tradursi in uno “svuotamento di rilevante entità ed incisività del suo contenuto” (v. sentenza Corte Cost. n. 55/1968)». Evenienza che, nella specie, non si sarebbe verificata, avendo il legislatore previsto misure in chiave sanzionatoria, tanto della durata che del canone locatizio, svuotando di contenuto l’autonomia negoziale, senza una proporzionale ricaduta sul piano della funzione sociale della proprietà.

La questione incostituzionalità è stata ritenuta fondata, pertanto la norma impugnata è stata dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 136 Cost.

Alla luce di quanto esposto tutti i contratti di locazione sorti a seguito della denuncia all’Agenzia delle entrate ai sensi dell’art 3 commi 8 e 9 del Dlgs 23/2011 sono invalidi. Essendo venuta meno la sanatoria degli effetti del contratto registrato in base alle norme dichiarate incostituzionali la detenzione del bene non può ritenersi sostenuta da alcun titolo legittimante stante la nullità del contratto di locazione stipulato senza l’osservanza della forma di legge.

giovedì 8 gennaio 2015

LA TIPIZZAZIONE E LA TRASCRIVIBILITA' DEI CONTRATTI RENT TO BUY:


L’art. 23 del D.L. 12 settembre 2014, n. 133 (in G.U. n. 212 del 12.9.2014), in vigore dal 13 settembre 2014, convertito in legge 11 novembre 2014, n. 164 (in Suppl. ord. alla G.U. n. 262 dell’11.11.2014), in vigore dal 12 novembre 2014, ha introdotto la disciplina dei “contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili”, altresì indicati come rent to buy. Detto art. 23 dispone quanto segue:

1. I contratti, diversi dalla locazione finanziaria, che prevedono l'immediata concessione del godimento di un immobile, con diritto per il conduttore di acquistarlo entro un termine determinato imputando al corrispettivo del trasferimento la parte di canone indicata nel contratto, sono trascritti ai sensi dell'articolo 2645-bis codice civile. La trascrizione produce anche i medesimi effetti di quella di cui all'articolo 2643, comma primo, numero 8) del codice civile.

1-bis. Le parti definiscono in sede contrattuale la quota dei canoni imputata al corrispettivo che il concedente deve restituire in caso di mancato esercizio del diritto di acquistare la proprietà dell'immobile entro il termine stabilito.

2. Il contratto si risolve in caso di mancato pagamento, anche non consecutivo, di un numero minimo di canoni, determinato dalle parti, non inferiore ad un ventesimo del loro numero complessivo.

3. Ai contratti di cui al comma 1 si applicano gli articoli 2668, quarto comma, 2775-bis e 2825-bis del codice civile. Il termine triennale previsto dal comma terzo dell'articolo 2645-bis del codice civile è elevato a tutta la durata del contratto e comunque ad un periodo non superiore a dieci anni. Si applicano altresì le disposizioni degli articoli da 1002 a 1007 nonché degli articoli 1012 e 1013 del codice civile, in quanto compatibili. In caso di inadempimento si applica l'articolo 2932 del codice civile.

4. Se il contratto di cui al comma 1 ha per oggetto un'abitazione, il divieto di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, opera fin dalla concessione del godimento.

5. In caso di risoluzione per inadempimento del concedente, lo stesso deve restituire la parte dei canoni imputata al corrispettivo, maggiorata degli interessi legali. In caso di risoluzione per inadempimento del conduttore, il concedente ha diritto alla restituzione dell'immobile ed acquisisce interamente i canoni a titolo di indennità, se non è stato diversamente convenuto nel contratto.

6. In caso di fallimento del concedente il contratto prosegue, fatta salva l'applicazione dell'articolo 67, terzo comma, lettera c), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni. In caso di fallimento del conduttore, si applica l'articolo 72 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni; se il curatore si scioglie dal contratto, si applicano le disposizioni di cui al comma 5.

7. Dopo l'articolo 8, comma 5, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, è aggiunto il seguente: “5-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai contratti di locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti e di vendita con riserva di proprietà, stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della presente disposizione.”.

8. L'efficacia della disposizione di cui al comma 7 è subordinata al positivo perfezionamento del procedimento di autorizzazione della Commissione Europea di cui all'articolo 107 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), di cui è data comunicazione nella Gazzetta ufficiale”.

 

 

L’art. 23 del D.L. n. 133/2014 ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento la disciplina del “contratto di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili”, denominato nella prassi rent to buy.

Il legislatore ha espressamente previsto che i contratti in esame sono “diversi dalla locazione finanziaria”: ciò al fine di evitare interferenze tra le due discipline, e per chiarire inequivocabilmente l’inapplicabilità di queste nuove disposizioni al leasing.

 

Ai fini della corretta qualificazione della fattispecie altre tre disposizioni hanno rilievo.

- La prima: nei commi 1 e 1-bis si parla di “diritto per il conduttore” di acquistare l’immobile entro un termine determinato.

- La seconda: l’ultimo periodo del comma 3 dispone che “in caso di inadempimento si applica l'articolo 2932 del codice civile” (il diritto all’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre).

- La terza: è prevista la trascrizione del contratto a norma dell’art. 2645-bis c.c. (che disciplina la pubblicità del contratto preliminare).

 

Sembrerebbe, a prima lettura, che l’oggetto della disciplina legislativa, sia circoscritto ad una soltanto delle possibili configurazioni del rent to buy, come articolatosi nella prassi: quella caratterizzata dall’obbligo unilaterale del concedente-promittente alienante di trasferire (con successivo contratto traslativo) entro il termine stabilito la proprietà al conduttore-promissario acquirente, cui si contrappone il diritto-facoltà di quest’ultimo di acquistare (senza, alcun obbligo al riguardo).

 

Un’interpretazione così tassativa esclude però la trascrivibilità di molte fattispecie riconducibili alla disciplina del Rent To Buy e rischia di alterare la Ratio della norma la quale mirata a tutelare l’acquirente in presenza di una operazione economica riconducibile alla fattispecie socialmente tipica del rent to buy, in tutte le sue possibili varie articolazioni.

 

A norma dell’art. 23, comma 1, del D.L. n. 133/2004, i contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili “sono trascritti ai sensi dell'articolo 2645-bis codice civile. La trascrizione produce anche i medesimi effetti di quella di cui all'articolo 2643, comma primo, numero 8) del codice civile”. Ai sensi del successivo comma 3, “il termine triennale previsto dal comma terzo dell'articolo 2645-bis del codice civile è elevato a tutta la durata del contratto e comunque ad un periodo non superiore a dieci anni”. Disciplina, questa, che merita alcune puntualizzazioni.

Va evidenziato che la trascrizione di cui trattasi ha ad oggetto – se così si può dire – un contratto che deve essere riconducibile all’operazione economica, socialmente e normativamente tipizzata, del rent to buy. Contratto il cui dato caratterizzante è l’attribuzione immediata del godimento al conduttore, verso un corrispettivo periodico (canoni) in parte imputabile al prezzo di trasferimento. E’ proprio questa tipicità sociale, oltre che normativa, e la correlata valutazione legale di meritevolezza, a giustificare il prolungamento della durata della trascrizione ex art. 2645-bis per tutta la durata del contratto (fino ad un massimo di dieci anni), come pure la trascrivibilità di fattispecie (come l’opzione di acquisto) che nel diritto comune sono generalmente ritenute intrascrivibili. Il richiamo dell’art. 2645-bis c.c. comporta che – ai fini dell’efficacia prenotativa della relativa trascrizione – il contratto definitivo di trasferimento della proprietà dovrà essere trascritto entro il termine finale di durata del contratto in oggetto, e comunque entro il termine di dieci anni dalla trascrizione del rent to buy. Nell’ipotesi in cui il contratto attribuisca al conduttore un’opzione di acquisto, entro il suddetto termine dovrà essere trascritto il contratto definitivo (di cui il primo segmento è lo stesso contratto di rent to buy contenente l’opzione, ed il secondo segmento è l’atto di accettazione da parte del conduttore).

 

 

 

 

CONIUGE SEPARATO e DIRITTO DI ABITAZIONE Cassazione civile , sez. II, sentenza 22.10.2014 n. 22456


La Corte di Cassazione, con la sentenza 22 ottobre 2014, n. 22456, precisa che il diritto di abitazione sulla casa familiare, non può essere attribuito al coniuge superstite quando lo stesso sia legalmente separato e non più convivente nella casa oggetto della disposizione successoria.

In caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l’impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare al momento dell’apertura della successione fa venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell’attribuzione del diritto reale di abitazione al coniuge superstite.

L'art 540 c.c. riserva al coniuge del defunto il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la arredano.

L’art 548 c.c. attribuisce genericamente al coniuge separato cui non è stata addebitata la separazione, gli stessi diritti successori del coniuge non separato, si era ritenuta l’estensione automatica del diritto di abitazione.

Solo di recente la giurisprudenza di legittimità ha chiarito la questione dopo un decennio di contrastanti interpretazioni. 

La sentenza del 22 ottobre 2014, n. 22456 ha ritenuto che il diritto reale di abitazione, riservato per legge al coniuge superstite ha ad aggetto l'immobile che in concreto era adibito a residenza familiare in cui entrambi i coniugi vivevano insieme stabilmente organizzandovi la vita domestica del gruppo familiare.

La Ratio della norma di cui all’art 540 c.c. non è tanto la tutela dell'”interesse economico” del coniuge superstite di disporre di un alloggio, quanto dell'”interesse morale” legato alla conservazione dei rapporti affettivi e consuetudinari con la casa familiare. 

Ad esempio la conservazione della memoria del coniuge scomparso, e lo stato sociale goduto durante il matrimonio.

In caso pertanto di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l'impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare fa venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell'attribuzione del diritto di abitazione.

 

PER CHIARIMENTI E CONSULENZE SCRIVERE ALLA SEGUENTE MAIL: CHIARA.CONSANI@VIRGILIO.IT