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lunedì 20 maggio 2019

IL DIRITTO DI ABITAZIONE IN CASO DI MORTE CONIUGE SEPARATO NON PIU’ CONVIVENTE


La Corte di Cassazione, con la sentenza 22 ottobre 2014, n. 22456, precisa che il diritto di abitazione sulla casa familiare, non può essere attribuito al coniuge superstite quando lo stesso sia legalmente separato e non più convivente nella casa oggetto della disposizione successoria.

In caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l’impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare al momento dell’apertura della successione fa venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell’attribuzione del diritto reale di abitazione al coniuge superstite.

L'art 540 c.c. riserva al coniuge del defunto il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la arredano.

L’art 548 c.c. attribuisce genericamente al coniuge separato cui non è stata addebitata la separazione, gli stessi diritti successori del coniuge non separato, si era ritenuta l’estensione automatica del diritto di abitazione.

Solo di recente la giurisprudenza di legittimità ha chiarito la questione dopo un decennio di contrastanti interpretazioni.

La sentenza n. 13.407 del 12/06/2014 ha ritenuto che il diritto reale di abitazione, riservato per legge al coniuge superstite ha ad aggetto l'immobile che in concreto era adibito a residenza familiare in cui entrambi i coniugi vivevano insieme stabilmente organizzandovi la vita domestica del gruppo familiare.

La Ratio della norma di cui all’art 540 c.c. non è tanto la tutela dell' ”interesse economico” del coniuge superstite di disporre di un alloggio, quanto dell'”interesse morale” legato alla conservazione dei rapporti affettivi e consuetudinari con la casa familiare.

Ad esempio: la conservazione della memoria del coniuge scomparso, e lo stato sociale goduto durante il matrimonio.

In caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l'impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare fa venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell'attribuzione del diritto di abitazione.

In maniera del tutto speculare la legge Cirinnà (L. n. 76/2016) ha previsto una specie di “diritto di abitazione sulla casa familiare”, anche se limitato nel tempo, al partner del defunto unito civilmente ricalcando, quindi, la disciplina dell’art. 540 Cod. Civ..

PER CHIARIMENTI E CONSULENZE SCRIVERE ALLA SEGUENTE MAIL: AVV.CHIARACONSANI@GMAIL.COM

martedì 15 marzo 2011

LE DONAZIONI INDIRETTE E L'AZIONE DI RIDUZIONE

DONAZIONE INDIRETTA.  
Cass. civ.,sez. I, 12 maggio 2010, n. 11496. 

Nell’ipotesi di donazione indiretta di un immobile, realizzata mediante l’acquisto del bene 
con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente 
medesimo intenda in tal modo beneficiare, la compravendita costituisce lo strumento 
formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del 
destinatario, che ha quindi ad oggetto il bene e non già il denaro. Tuttavia, alla riduzione di 
siffatta liberalità indiretta non si applica il principio della quota legittima in natura 
(connaturata all’azione nell’ipotesi di donazione ordinaria di immobile ex art. 560 c.c.), 
poiché l’azione non mette in discussione la titolarità dei beni donati e l’acquisizione riguarda 
il loro controvalore, mediante il metodo dell’imputazione; pertanto mancando il 
meccanismo di recupero reale della titolarità del bene, il valore dell’investimento finanziato 
con la donazione indiretta dev’essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche 
del diritto di credito, con la conseguenza che, nell’ipotesi di fallimento del beneficiario, la 
domanda è sottoposta al rito concorsuale dell’accertamento del passivo ex art. 52 e 93 l. fall. 

COMMENTO:

Il problema che a lungo ha tormentato la dottrina è stato quello di individuare con certezza quale fosse l’oggetto delle donazioni indirette: il denaro fornito dai genitori o l’immobile acquistato utilizzando lo stesso?

In tema di Collazione e azione revocatoria DI DONAZIONI DIRETTE ed indirette, la Cassazione a Sezioni Unite n. 9282/1992 ha sostenuto che oggetto della collazione e dell’azione revocatoria è l’immobile, tutte le volte in cui il denaro donato costituisce il mezzo per l’acquisto del bene stesso. La ratio di tale sentenza viene ricondotta al principio di par condicio degli eredi onde evitare disparità in caso di collazione del denaro a fronte dell’acquisto del bene immobile.

Cosa è oggetto della azione di riduzione e di restituzione ?

Si discute se il principio di cui alla cassazione a sezione unite del 1992 debba essere applicato anche nella disciplina della azione di riduzione avente ad oggetto donazioni indirette, ponendo in pericolo le situazioni giuridiche soggettive dei terzi aventi causa.

L’azione di riduzione è una azione personale diretta a far valere l’inefficacia del negozio lesivo della legittima. Conseguentemente la titolarità del bene rientra ex tunc nel patrimonio del donante. Da ciò si giustifica l’azione di restituzione contro i terzi. 

L'intestazione di beni altrui sono quegli atti di liberalità indiretta (art 809 c.c.) con il quale il donante con l’accordo del donatario intende far conseguire a questi gratuitamente in via diretta la proprietà di un bene, senza che il bene transiti nel patrimonio del donante anche per un solo istante.

1)   il donante fornisce preventivamente il danaro al donatario che paga il prezzo; (Attenzione: è una donazione diretta rispetto della forma solenne, se di modico valore è sufficiente la traditio ex art 783 c.c. );
2)   il donante interviene direttamente in atto e paga il prezzo, adempimento del prezzo o accollo. (Attenzione : è una donazione indiretta non ci vuole la forma solenne);
3)   il donante stipula un contratto in nome e per conto del donatario pagando con denaro proprio:
4)   contratto per persona da nominare;
5)   contratto a favore del terzo



Il disagio si ha perché nell’ipotesi di intestazione di bene in nome altrui, il donatario (Figlio) non è un avente causa dal donante (padre) bensì dal venditore in quanto il donante (padre) pagando il prezzo al terzo rinuncia al credito avente ad oggetto la restituzione della somma nei confronti del figlio. Ciò che esce effettivamente dal suo patrimonio è il solo credito alla restituzione.

Se si ammettesse l’azione di riduzione e di restituzione del contratto di donazione indiretta avente ad oggetto l’immobile, qualora il figlio vada a vendere il bene così acquistato ad un terzo questo terzo potrebbe correre il rischio di una azione di restituzione ex 563 c.c. senza aver avuto conoscenza della liberalità indiretta.

Es. Tizio acquista il bene dal donatario, figlio, senza essere a conoscenza che l’atto di provenienza era una liberalità indiretta. In particolare tale problema si verificava prima della legge Bersani quando le modalità di pagamento del prezzo non venivano indicate in atto.


Come si potrebbe tutelare il potenziale terzo acquirente???

Una azione nei confronti del negozio di vendita comporterebbe eccessivi rischi.
Il terzo di buona fede, sub acquirente del donatario, più che verificare la continuità della trascrizione, che la provenienza del bene acquistato non sia donativa o successoria e l’assenza di domande giudiziale di impugnative negoziali o vizi di nullità, null’altro può fare. Nel caso in cui la provenienza sia donativa o successoria il terzo può verificare l’esistenza o meno di domanda di riduzione ex art 2652 n 8 c.c. che potrebbe far vacillare il tuo titolo di acquisto essendo legalmente avvertito di tale circostanza. Conseguentemente nel caso di liberalità indiretta il terzo non è a conoscenza della liberalità indiretta.

Se il donatario ha acquistato direttamente dal venditore ma dall’atto trascritto non risulti la circostanza che il danaro è stato fornito dal donante per spirito di liberalità l’eventuale successo del legittimario a seguito dell’azione di riduzione non potrà consentire l’esperimento dell’azione di restituzione verso i terzi a titolo oneroso ed in buona fede.

In tal senso sussiste un conflitto tra la tutela del legittimario e la tutela dell’affidamento del terzo.


L’atto negoziale lesivo della quota di legittima non può essere individuato nella compravendita. L’eventuale azione di riduzione non può colpire il titolo di acquisto del donatario. In tal senso oggetto dell’azione di riduzione dovrà avere ad oggetto la somma di denaro che il padre ha concretamente utilizzato per l’acquisto del bene.
L’azione pertanto colpirà non l’atto negoziale di vendita ma l’adempimento del terzo e l’assunzione del debito altrui comportandone l’inefficacia nei confronti del figlio donatario verso il quale gli eredi potranno agire per la restituzione del credito.

Il diritto del legittimario leso perde la natura reale ed si traduce in un diritto di credito. Il legittimario può si esperire l’azione di riduzione ma non può pretendere l’azione di restituzione del bene verso il terzo.

L’azione di riduzione nelle donazioni indirette incide sulla causa del negozio fine (liberalità) e non sul negozio mezzo (atto di acquisto).


La cassazione del 2010 conferma il principio delle sezioni unite del 1992 secondo cui  nelle ipotesi di intestazione del bene in nome altrui oggetto della donazione indiretta è il bene, tuttavia esclude l’esperibilità dell’azione di restituzione reale del bene nei confronti del terzo avente causa, maturando il legittimario leso il solo diritto di credito.