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giovedì 17 marzo 2022

DISACCORDO TRA I GENITORI SUL VACCINO ANTICOVID AL FIGLIO MINORE: DECIDE IL TRIBUNALE

 

DISACCORDO TRA I GENITORI SUL VACCINO ANTICOVID AL FIGLIO MINORE: DECIDE IL TRIBUNALE

In caso di dissenso tra i genitori esercenti la responsabilità genitoriale sul figlio minore in ordine alla somministrazione a quest’ultimo del vaccino anti-Covid, può essere interpellato il Tribunale territorialmente competente, che deciderà in merito.

L’art. 3 l. n. 219/2017 prevede che: «il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale tenendo conto della volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità».

Con il ricorso ex art. 709-ter c.p.c. si possono quindi superare i contrasti nell'esercizio della responsabilità genitoriale anche in ambito sanitario.

In particolare, i Tribunali Italiani chiamati a decidere su questa questione hanno autorizzato la vaccinazione, ritenuta corrispondente agli interessi del minore valutato il concreto pericolo per la salute del minore, il diffondersi della malattia sul territorio nazionale, la circostanza che i trattamenti vaccinali sono considerati dalla comunità scientifica efficaci, con l’effetto che con dette pronunce viene sospeso momentaneamente la responsabilità del genitore contrario al vaccino.

Per ogni chiarimento non esitare a contattarmi via una e-mail: avv.chiaraconsani@gmail.com

venerdì 31 luglio 2020

I FIGLI DELLE COPPIE DELLO STESSO SESSO

Mai più di oggi è evidente l’esigenza giuridica di garantire ai figli delle coppie dello stesso sesso la stabilità del rapporto con coloro che di fatto esercitano una funzione genitoriale nei loro confronti. In questi casi non si tratta di trovare un genitore per un bambino abbandonato ma di tutelare e coprire giuridicamente situazioni in cui un bambino ha già chi si occupa di lui, dove vi è già un “genitore di fatto” che è tuttavia privo di riconoscimento legale formale (sul “valore” dei legami genitoriali di fatto, cfr. legge 173 del 2015 e Corte Cost. n. 225 del 2016). Nel nostro ordinamento l'adozione ordinaria da parte di coppie formate da persone dello stesso sesso  non è espressamente prevista. Il procedimento adottivo è riservato ai coniugi e non si estende alle parti dell'unione civile e neppure ai conviventi di fatto eterosessuali o omosessuali. Secondo l'interpretazione dominante in Giurisprudenza, ciascun partner dell'unione civile potrà esclusivamente adottare il figlio biologico dell'altro. In questi termini si è pronunciato da ultimo il Tribunale per i Minorenni di Bologna il 25 giugno 2020 sulla scorta del Tribunale per i Minorenni di Roma che con la sentenza 30 luglio 2014 (est. Cavallo) ha inaugurato una presa di posizione ermeneutica confermata (Trib. Minorenni Roma, 22 ottobre 2015, est. Cavallo; Trib. Minorenni Roma, 23 dicembre 2015, est. Cavallo), anche nel secondo grado. In particolare, secondo il giudice d’appello romano, «nell’ipotesi di minore concepito e cresciuto nell’ambito di una coppia dello stesso sesso, sussiste il diritto ad essere adottato dalla madre non biologica, secondo le disposizioni sulla adozione in casi particolari ex art. 44 lett. D della Legge 4 maggio 1983, n. 184, sussistendo, in ragione del rapporto genitoriale di fatto instauratosi fra il genitore sociale ed il minore, l’interesse concreto del minore al suo riconoscimento; la sussistenza di tale rapporto genitoriale di fatto e del conseguente superiore interesse al riconoscimento della bigenitorialità devono essere operate in concreto sulla base delle risultanze delle indagini psico-sociali» (Corte App. Roma, 23 dicembre 2015, Pres. Montaldi, est. Pagliari). La Corte di Cassazione con la Sentenza 26 maggio 2016 n. 12962, ai fini ermeneutici ritiene che anche le coppie dello stesso sesso possano procedere all’adozione dei rispettivi figli ai sensi dell'art. 44, comma 1°, lett. d, che tramite il rinvio alla impossibilità di procedere all'affidamento preadottivo, consente l'adozione anche qualora il minore non si trovi in stato di abbandono, in quanto vi sia almeno uno dei genitori che adempia ai doveri ed eserciti i diritti che connotano la responsabilità genitoriale ai sensi dell'art. 315-bis c.c. La scelta di privilegiare l'adozione a favore dei partners delle unioni civili nei confronti del figlio biologico dell'altra parte tramite l'art. 44, comma 1°, lett. d, qualora si sia realizzato tra l'aspirante adottante e l'adottando uno stabile rapporto corrispondente all'esercizio della responsabilità genitoriale, trova giustificazione nella tutela dell'interesse del minore espressamente previsto dall'art. 57, n. 2, l. n. 184 del 1983 . In sostanza quest'ultimo giustifica il compimento dell'adozione che risulta in concreto rivolto ad offrire la copertura giuridica ad una situazione di fatto in essere da anni. Si tratta quindi di garantire al minore la c.d. continuità affettiva, che costituisce una esigenza primaria avvertita dal legislatore anche nel corso degli ultimi interventi che hanno interessato il diritto di famiglia. Inoltre, l'adozione da parte di partners di unioni civili secondo le modalità delineate dall'art. 44, comma 1°, lett. d, l. n. 184 del 1983 consente di evitare qualsiasi discriminazione tra coppie conviventi eterosessuali e omosessuali . Tant'è che il disconoscimento per le seconde del diritto ad adottare sarebbe da ritenere contrario alla ratio legis, al dato costituzionale ed ai princìpi della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Da ultimo la legge Cirinnà n. 76 del 2016 ha eletto le coppie formate da persone dello stesso sesso al rango di “famiglia” così offrendo all’adozione in casi particolari, un substrato relazionale solido, sicuro, giuridicamente tutelato. La legge ha confermato poi l’orientamento della Cassazione inserendo la c.d. «clausola di salvaguardia nell’articolo 1 comma 20: “al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole « coniuge », « coniugi » o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonché alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”. In questo modo, tale disposizione apre alla possibilità di un’applicazione alle unioni civili delle disposizioni in materia di adozioni, ma solo, per l’appunto, nei limiti del diritto vigente. Per una consulenza o parere non esitare a contattarmi avv.chiaraconsani@gmail.com

mercoledì 8 luglio 2020

Cassazione Civile Sentenza n. 8459/2020 - CAMPIONI BIOLOGICI – PRIVACY – ACCERTAMENTO PATERNITA’

La Cassazione ha chiarito che in sede civile e precisamente in un giudizio di accertamento della paternità sono utilizzabili i campioni biologici consegnati dalle Aziende Ospedaliere al Ctu incaricato, senza che sussista alcuna violazione della privacy, stante la prevalenza dell'interesse giudiziario. Infondata pertanto la contestazione sull'acquisizione dei vetrini con i campioni biologici presso le Aziende ospedaliere, che secondo il ricorrente, una volta cessato il trattamento "avrebbero dovuto essere distrutti, e non potevano essere ceduti dalle strutture sanitarie." Le controversie aventi ad oggetto i diritti dei privati non richiedono infatti le stesse garanzie richieste per il processo penale. In sede civile inoltre il giudice non incontra il limite delle prove tipiche, potendo utilizzare anche prove atipiche, la cui rilevanza dipende da una valutazione del magistrato. Esclusa quindi la possibilità di applicare la regola della inutilizzabilità della prova prevista per il processo penale in quello civile, la Cassazione chiarisce che sul diritto alla privacy del soggetto prevale "il trattamento dei dati personali qualora - effettuato per ragioni di giustizia - per tale intendendosi i trattamenti di dati personali direttamente correlati alla trattazione giudiziaria di affari e controversie (art. 47 Dlgs n. 196/2003 nel testo anteriore alla abrogazione disposta con il dlgs n. 101/2018.)" Anche il regolamento europeo n. 679/2016 ammette una deroga al limite della privacy e al trattamento dei dati personali se è necessario "accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali." Pertanto, fermo restando il principio secondo cui rimane precluso l'accesso a quelle prove la cui acquisizione concreti una diretta lesione di interessi costituzionalmente tutelati riferibili alla parte contro cui la prova viene utilizzata, la conservazione dei dati personali, compreso il vetrino che contiene il campione biologico con le indicazioni idonee a identificare il soggetto a cui appartiene, è giustificata nel momento in cui emergono finalità istituzionali dell'ente pubblico, come nel caso di specie, ossia l'impiego giudiziario dei dati biologici. Disposizioni che trovano conferma anche nel regolamento europeo 679/2016. Dalla complessa normativa sulla Privacy emerge che anche la "conservazione" del dato personale (tale dovendo configurarsi anche il vetrino contenente il campione biologico in quanto risulti corredato da indicazioni atte alla identificazione del soggetto cui appartiene) rientra nelle operazioni di trattamento e può, quindi, trovare giustificazione rispetto alle finalità istituzionali dell'ente pubblico, laddove queste prevedano, appunto, forme obbligatorie ex lege di archiviazione dei dati in funzione del perseguimento di interessi pubblici prevalenti, quali - ad esempio - l'impiego giudiziario del campione biologico, ovvero qualora la conservazione venga effettuata per fini scientifici o statistici. Ne segue che un automatico obbligo di distruzione del dato non è configurabile in capo al titolare del trattamento laddove il termine della conservazione sia correlato alle predette finalità istituzionali, come nel caso in esame in cui il cd. "materiale di archivio campionato" (blocchetti in paraffina e vetrini) venga a costituire oggetto di specifico obbligo, imposto alle Aziende ospedaliere, relativo alla conservazione dei referti e delle cartelle cliniche (cfr. Linee guida sulla "tracciabilità, raccolta, trasporto, conservazione e archiviazione di cellule e tessuti per indagini diagnostiche di anatomia patologica" elaborate dal Ministero della Salute Consiglio Superiore di Sanità - maggio 2015) e sia previsto uno specifico obbligo di legge alla conservazione per dieci anni dei campioni biologici riferibili a pazienti deceduti (cfr. L. 30 marzo 2001, n. 130, art. 3, comma 1, lett. h). La consegna dei vetrini da parte delle aziende ospedaliere deve quindi qualificarsi come adempimento alle prescrizioni contenute nel provvedimento giudiziario che ha conferito l'incarico al Ctu di acquisire anche "informazioni" presso terzi ai sensi dell'art. 194 c.p.c.

martedì 28 maggio 2019

CONIUGE CHIAMATO ALL’EREDITA’


CONIUGE CHIAMATO ALL’EREDITA’

ART 485 C.C.

RINUNCIA ALL’EREDITA’ E DIRITTO DI ABITAZIONE EX ART 540 COMMA SECONDO C.C.

Al verificarsi dell’evento morte i chiamati all’eredità, coloro che sono stati indicati nel testamento ovvero, in assenza di atto di ultima volontà, i chiamati per legge, perché siano a tutti gli effetti eredi, devono accettare la quota di eredità a loro spettante.

L’accettazione può essere espressa o tacita: la prima è quella che risulta da atto scritto nel quale emerga chiaramente la volontà di far propria una parte dell’asse ereditario; la seconda si concreta in un comportamento che inequivocabilmente manifesti l’intenzione di divenire erede a tutti gli effetti.

Eccezionalmente, esistono dei casi in cui l’eredità si acquista senza alcuna accettazione, tacita o espressa che sia; si tratta: del chiamato che sia già in possesso dei beni ereditari e che, entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione, non abbia redatto inventario.

L'art. 485 cc prescrive che il chiamato all'eredità, quando a qualsiasi titolo è nel possesso di beni ereditari, deve fare l'inventario entro tre mesi dal giorno dell'apertura della successione o della notizia della devoluta eredità. Trascorso tale termine senza che l'inventario sia stato compiuto, il chiamato all'eredità è considerato erede puro e semplice.

In merito alla posizione del coniuge residente presso la casa coniugale e chiamato all’eredità, ciò che rileva ai fini dell’applicazione o meno dell’art 485 c.c. è la natura dei diritti di abitazione della casa adibita a residenza familiare e dell'uso dei mobili che la corredano, attribuiti al coniuge superstite dall'art. 540, co. 2 c.c. come novellato dalla l. 19 settembre 1975 n. 151.

L’orientamento espresso dalle Sezioni Unite Corte di Cassazione con la Sentenza n. 4847/13 supera quello espresso dalla Sentenza n. 11018/08, secondo cui il disposto dell'art. 540 c.c. - attributivo al coniuge superstite dei diritti di abitazione della casa familiare in proprietà del de cuius e di uso della relativa mobilia-  opererebbe solo nell'ambito della successione necessaria e non nell'ambito della successione legittima; cosicché, nel caso di successione legittima, l'abitazione, da parte del coniuge superstite, della casa familiare già in proprietà, anche parziale, del de cuius implicherebbe l'applicazione dell'art. 485 c.c., ai cui fini è sufficiente che il possesso riguardi anche uno solo dei beni ereditari (e dunque anche solo la quota della casa coniugale già di proprietà del "de cuius").

Le Sezioni Unite hanno invece affermato l'opposto principio secondo il quale i diritti di abitazione nella casa familiare e di uso della relativa mobilia spettano al coniuge superstite anche nella successione legittima.

Alla luce del richiamato orientamento delle Sezioni Unite, il solo fatto della permanenza del coniuge superstite nella casa familiare già in proprietà, anche parziale, del de cuius non può dunque ritenersi necessariamente una manifestazione di possesso dei beni ereditari, dovendo intendersi come il mero esercizio dei diritti di abitazione e di uso attribuiti al coniuge a titolo di legati ex lege.

In questo senso peraltro, già nel 2008, si era espressa la Sezione tributaria con la sentenza n. 1920/08, ove si precisava che i diritti di abitazione e di uso previsti dall'art. 540 c.c. a favore del coniuge superstite non sorgono in capo a quest'ultimo a titolo successorio - derivativo, bensì a diverso titolo, costitutivo, fondato sulla qualità di coniuge e prescindente dai diritti successori. Cosicché "Il titolo che abilita il coniuge al possesso del bene trova giustificazione nella norma civilistica che lo attribuisce indipendentemente dalla qualità di erede, con cui del resto il diritto di abitazione non ha nulla da spartire, essendo tale diritto acquisito, semmai, in forza di legato ex lege".

Per quanto sopra esposto il coniuge del defunto che continua ad abitare nella casa coniugale anche dopo i tre mesi dalla morte potrà ancora rinunciare all’eredità non trovandosi nel c.d. possesso dei beni ereditari disciplinato dall’art 485 c.c.

Per ogni chiarimento non esitare a contattarmi via una e-mail: avv.chiaraconsani@gmail.com

 

lunedì 20 maggio 2019

IL DIRITTO DI ABITAZIONE IN CASO DI MORTE CONIUGE SEPARATO NON PIU’ CONVIVENTE


La Corte di Cassazione, con la sentenza 22 ottobre 2014, n. 22456, precisa che il diritto di abitazione sulla casa familiare, non può essere attribuito al coniuge superstite quando lo stesso sia legalmente separato e non più convivente nella casa oggetto della disposizione successoria.

In caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l’impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare al momento dell’apertura della successione fa venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell’attribuzione del diritto reale di abitazione al coniuge superstite.

L'art 540 c.c. riserva al coniuge del defunto il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la arredano.

L’art 548 c.c. attribuisce genericamente al coniuge separato cui non è stata addebitata la separazione, gli stessi diritti successori del coniuge non separato, si era ritenuta l’estensione automatica del diritto di abitazione.

Solo di recente la giurisprudenza di legittimità ha chiarito la questione dopo un decennio di contrastanti interpretazioni.

La sentenza n. 13.407 del 12/06/2014 ha ritenuto che il diritto reale di abitazione, riservato per legge al coniuge superstite ha ad aggetto l'immobile che in concreto era adibito a residenza familiare in cui entrambi i coniugi vivevano insieme stabilmente organizzandovi la vita domestica del gruppo familiare.

La Ratio della norma di cui all’art 540 c.c. non è tanto la tutela dell' ”interesse economico” del coniuge superstite di disporre di un alloggio, quanto dell'”interesse morale” legato alla conservazione dei rapporti affettivi e consuetudinari con la casa familiare.

Ad esempio: la conservazione della memoria del coniuge scomparso, e lo stato sociale goduto durante il matrimonio.

In caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l'impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare fa venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell'attribuzione del diritto di abitazione.

In maniera del tutto speculare la legge Cirinnà (L. n. 76/2016) ha previsto una specie di “diritto di abitazione sulla casa familiare”, anche se limitato nel tempo, al partner del defunto unito civilmente ricalcando, quindi, la disciplina dell’art. 540 Cod. Civ..

PER CHIARIMENTI E CONSULENZE SCRIVERE ALLA SEGUENTE MAIL: AVV.CHIARACONSANI@GMAIL.COM

ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE IN SEDE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO ED OPPONIBILITA’ AI TERZI


Sentenza Cassazione civile, sez. II, 24/01/2018, n. 1744 che conferma l’ormai consolidato orientamento delle Sezioni Unite espresso con la Sentenza n. 11096 del 2002.

La Suprema Corte ha precisato che, il provvedimento di assegnazione della casa coniugale individua una posizione di «detenzione qualificata» a favore del coniuge assegnatario, essendo diretto a tutelare l’interesse della prole a permanere nell’abituale ambiente domestico. Tale diritto è opponibile al terzo che abbia acquistato successivamente una posizione giuridica incompatibile con quella del coniuge assegnatario (Cassazione, Sezioni Unite, 11096/2002); inoltre, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare, in quanto avente data certa, è opponibile al terzo acquirente in data successiva, per nove anni dalla data di assegnazione, sia che il provvedimento giudiziale sia stato o meno trascritto nei Registri immobiliari.

Al principio di opponibilità al terzo acquirente del provvedimento di assegnazione consegue che il terzo è tenuto a rispettare il godimento del coniuge, nei limiti di durata innanzi precisati, quale vincolo di destinazione collegato all'interesse dei figli, e quindi con esclusione di qualsiasi obbligo di pagamento da parte del beneficiario per tale godimento. 
 
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giovedì 3 marzo 2016

UNIONI CIVILI E CONVIVENZE DI FATTO ISTRUZIONI PER L'USO - ASPETTANDO GODOT


Il disegno di legge Cirinnà è una proposta che per la prima volta in Italia riconosce diritti e doveri delle coppie omosessuali che vogliono unirsi civilmente e delle coppie eterosessuali e omosessuali che non vogliono sposarsi, ma solo registrare la loro convivenza.

In attesa della conferma alla Camera ecco alcuni chiarimenti sul disegno di legge approvato al Senato.

L’UNIONE CIVILE:

Definisce il rapporto tra due persone maggiorenni, dello stesso sesso, che vogliano organizzare la loro vita in comune.

La legge inserisce nel diritto di famiglia un nuovo istituto specifico per le coppie omosessuali, chiamandolo “unione civile”, diverso dal matrimonio regolato dall’articolo 29 della costituzione, ma che si può equiparare a quest’ultimo per diritti e doveri previsti.

Per stipulare un’unione civile, le due persone devono essere maggiorenni e recarsi con due testimoni da un ufficiale di stato civile, il quale provvede alla registrazione. Le due persone che hanno contratto l’unione civile devono dichiarare il regime patrimoniale vogliono (comunione legale o separazione dei beni), un indirizzo di residenza comune e possono assumere un cognome comune che può anche sostituire o affiancare quello da celibe o nubile.

Non possono contrarre l’unione civile:

- persone già sposate o che hanno già contratto un’unione civile;

- persone a cui è stata riconosciuta un’infermità mentale o persone che tra loro sono parenti.

Come nel matrimonio, le parti acquistano gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri: hanno l'obbligo reciproco all'assistenza morale e materiale, alla coabitazione ed entrambi sono tenuti a contribuire ai bisogni comuni, in base alle proprie possibilità; entrambi concordano l'indirizzo della vita familiare e la residenza comune, esattamente come avviene per le coppie sposate; in assenza di indicazioni diverse, si applica la comunione dei beni.In caso di morte la parte dell’unione civile ancora in vita ha diritto all'eredità, alla pensione di reversibilità.

In merito alla cessazione dell’unione la stessa si scioglie quando le parti hanno manifestato anche disgiuntamente la volontà di scioglimento davanti all'ufficiale di stato civile. In tal caso la domanda di scioglimento dell’unione è proposta decorsi tre mesi dalla data di manifestazione di volontà di scioglimento dell’unione. Si fa presente sul punto che nel caso delle unioni civili ( diversamente dal matrimonio) è stato previsto un vero e proprio divorzio breve, senza previa separazione ed in tempi brevissimi. In questo punto le unioni civili rispetto al matrimonio sono davvero innovative!

In ogni modo si applicano allo scioglimento delle unioni le disposizioni in materia di divorzio, come espressamente richiamate dal disegno di legge, con la possibilità di vedere riconosciuto ad uno dei due partner il diritto di mantenimento, tenendo conto delle condizioni dei due uniti.

LE CONVIVENZE DI FATTO:

Con il termine convivenze di fatto, si fa riferimento a tutte le coppie formate da due persone maggiorenni (sia etero che omosessuali) non legate da vincoli giuridici ma da un legame affettivo e che possono regolare i propri rapporti patrimoniali attraverso un "contratto di convivenza".

Il fine di questa regolamentazione è quello di concedere alle coppie conviventi i diritti basilari per l’assistenza reciproca, riconoscendoli quindi come un’unione di fatto meritevole di tutela giuridica.

Il contenuto del contratto è sostanzialmente libero: le parti possono indicare i rispettivi obblighi e diritti come, ad esempio, le modalità di cooperazione e collaborazione ai bisogni della convivenza. Inoltre dovranno regolare il regime patrimoniale, optando per la comunione dei beni o la separazione. Inoltre potranno stabilire quanto dello stipendio va nella cassa comune o quali spese sostiene l’uno o l’altro dei conviventi. Si possono sottoscrivere in qualsiasi momento della convivenza e possono anche definire rapporti patrimoniali in caso di cessazione del rapporto, evitando discussioni e rivendicazioni al momento della rottura.

I conviventi assumono solo alcuni dei diritti e dei doveri riconosciuti alle coppie sposate: l'assistenza ospedaliera, penitenziaria e gli alimenti a fine convivenza (nel caso in cui uno dei due non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento).

Inoltre:

se il proprietario della casa di comune residenza muore, il convivente ha diritto a continuare ad abitare nella stessa casa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore ai due anni e comunque non oltre i cinque anni;
se l'intestatario del contratto di affitto della casa di comune residenza muore o dovesse recedere dal contratto di locazione dalla casa di comune residenza, il convivente di fatto può succedere nel contratto;

se il convivente di fatto presta abitualmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente ha diritto ad una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, commisurata al lavoro prestato. Questo diritto non è valido invece se tra i conviventi vi sia un rapporto di società o di lavoro subordinato. In caso di morte di uno dei conviventi causato da un fatto illecito di un terzo, il superstite viene equiparato al coniuge nell’individuazione del danno risarcibile.

se la convivenza finisce ed uno dei coniugi si trova in uno stato di difficoltà economica, il giudice può inoltre stabilire che l’ex partner lo sostenga economicamente per un periodo proporzionale alla durata della convivenza.

Il contratto di convivenza si risolve per:
accordo delle parti;

recesso unilaterale;

matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona;

morte di uno dei contraenti;

La risoluzione del contratto di convivenza può avvenire pertanto anche per volontà di uno solo dei due partner, volontà a cui l’altro non può opporsi.

Nel caso di rottura della convivenza non c’è l’obbligo di versare l’assegno di mantenimento, ma solo quello degli alimenti nel caso di stretta necessità economica del compagno e comunque per un periodo di tempo proporzionale alla durata della convivenza.

Nel caso di recesso unilaterale da un contratto di convivenza se la casa familiare è nella disponibilità esclusiva del recedente la dichiarazione di recesso a pena di nullità deve contenere il termine non inferiore a novanta giorni concesso al convivente per lasciare l’abitazione.

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Se il presente disegno legge dovesse venire confermato alla Camera le fattispecie “del vivere insieme” saranno varie e variopinte e qui riassunte:

il matrimonio: è la tradizionale unione tra un uomo e una donna, regolata dal codice civile e dalle leggi speciali sul diritto di famiglia.

le unioni civili: sono le unioni tra omosessuali. L’insieme dei diritti e dei doveri è molto simile alla tutela prevista per le coppie sposate se non per alcune differenze (come l’obbligo della fedeltà);

i contratti di convivenza: sono le unioni tra soggetti maggiorenni sia etero che omosessuali, ma che hanno preferito di non passare per il matrimonio tradizionale o per le unioni civili, predisponendo un contratto di convivenza che ha tutele inferiori rispetto al matrimonio o alle unioni civili ma che garantisce alcuni diritti e tutele.

Resta fermo che i soggetti conviventi sono liberi di scegliere se siglare o meno un contratto di convivenza, che quindi non costituisce un obbligo.

Aspettando Godot ……………………………

Per consulenze o chiarimenti scrivere al seguente indirizzo mail chiara.consani@virgilio.it