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mercoledì 8 luglio 2020

Cassazione Civile Sentenza n. 8459/2020 - CAMPIONI BIOLOGICI – PRIVACY – ACCERTAMENTO PATERNITA’

La Cassazione ha chiarito che in sede civile e precisamente in un giudizio di accertamento della paternità sono utilizzabili i campioni biologici consegnati dalle Aziende Ospedaliere al Ctu incaricato, senza che sussista alcuna violazione della privacy, stante la prevalenza dell'interesse giudiziario. Infondata pertanto la contestazione sull'acquisizione dei vetrini con i campioni biologici presso le Aziende ospedaliere, che secondo il ricorrente, una volta cessato il trattamento "avrebbero dovuto essere distrutti, e non potevano essere ceduti dalle strutture sanitarie." Le controversie aventi ad oggetto i diritti dei privati non richiedono infatti le stesse garanzie richieste per il processo penale. In sede civile inoltre il giudice non incontra il limite delle prove tipiche, potendo utilizzare anche prove atipiche, la cui rilevanza dipende da una valutazione del magistrato. Esclusa quindi la possibilità di applicare la regola della inutilizzabilità della prova prevista per il processo penale in quello civile, la Cassazione chiarisce che sul diritto alla privacy del soggetto prevale "il trattamento dei dati personali qualora - effettuato per ragioni di giustizia - per tale intendendosi i trattamenti di dati personali direttamente correlati alla trattazione giudiziaria di affari e controversie (art. 47 Dlgs n. 196/2003 nel testo anteriore alla abrogazione disposta con il dlgs n. 101/2018.)" Anche il regolamento europeo n. 679/2016 ammette una deroga al limite della privacy e al trattamento dei dati personali se è necessario "accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali." Pertanto, fermo restando il principio secondo cui rimane precluso l'accesso a quelle prove la cui acquisizione concreti una diretta lesione di interessi costituzionalmente tutelati riferibili alla parte contro cui la prova viene utilizzata, la conservazione dei dati personali, compreso il vetrino che contiene il campione biologico con le indicazioni idonee a identificare il soggetto a cui appartiene, è giustificata nel momento in cui emergono finalità istituzionali dell'ente pubblico, come nel caso di specie, ossia l'impiego giudiziario dei dati biologici. Disposizioni che trovano conferma anche nel regolamento europeo 679/2016. Dalla complessa normativa sulla Privacy emerge che anche la "conservazione" del dato personale (tale dovendo configurarsi anche il vetrino contenente il campione biologico in quanto risulti corredato da indicazioni atte alla identificazione del soggetto cui appartiene) rientra nelle operazioni di trattamento e può, quindi, trovare giustificazione rispetto alle finalità istituzionali dell'ente pubblico, laddove queste prevedano, appunto, forme obbligatorie ex lege di archiviazione dei dati in funzione del perseguimento di interessi pubblici prevalenti, quali - ad esempio - l'impiego giudiziario del campione biologico, ovvero qualora la conservazione venga effettuata per fini scientifici o statistici. Ne segue che un automatico obbligo di distruzione del dato non è configurabile in capo al titolare del trattamento laddove il termine della conservazione sia correlato alle predette finalità istituzionali, come nel caso in esame in cui il cd. "materiale di archivio campionato" (blocchetti in paraffina e vetrini) venga a costituire oggetto di specifico obbligo, imposto alle Aziende ospedaliere, relativo alla conservazione dei referti e delle cartelle cliniche (cfr. Linee guida sulla "tracciabilità, raccolta, trasporto, conservazione e archiviazione di cellule e tessuti per indagini diagnostiche di anatomia patologica" elaborate dal Ministero della Salute Consiglio Superiore di Sanità - maggio 2015) e sia previsto uno specifico obbligo di legge alla conservazione per dieci anni dei campioni biologici riferibili a pazienti deceduti (cfr. L. 30 marzo 2001, n. 130, art. 3, comma 1, lett. h). La consegna dei vetrini da parte delle aziende ospedaliere deve quindi qualificarsi come adempimento alle prescrizioni contenute nel provvedimento giudiziario che ha conferito l'incarico al Ctu di acquisire anche "informazioni" presso terzi ai sensi dell'art. 194 c.p.c.

venerdì 28 febbraio 2020

REVOCA DEL TESTAMENTO PER SOPRAVVENIENZA DI FIGLI.


L'art. 687 c.c. stabilisce che le disposizioni sia a titolo universale sia a titolo particolare, fatte da chi al tempo del testamento non aveva oppure ignorava di avere figli o discendenti sono revocate di diritto per l'esistenza o la sopravvenienza di un figlio o discendente  del testatore, benché postumo anche adottivo, ovvero per il riconoscimento di un figlio naturale.

La fattispecie legale della revocazione di diritto riguarda sia il caso in cui il testatore non aveva discendenza al tempo del testamento, sia l'ipotesi in cui la discendenza c'era già, ma egli ne ignorava l'esistenza.

La disposizione in esame, secondo l'orientamento prevalente non si applica per il caso del testamento redatto dal de cuius che, al momento della sua predisposizione, già avesse figli, dei quali fosse nota l'esistenza, e sia sopraggiunto un altro figlio.

Se il testatore aveva già avuto dei figli dei quali gli era nota l'esistenza al tempo della redazione del testamento e ne siano, successivamente, sopraggiunti degli altri, la revoca non è operante.

Ne deriva che è preclusa l'applicazione in via analogica alla fattispecie di figlio sopraggiunto dopo la redazione del testamento effettuata in presenza di altri figli.

L'eccezionalità dell'art. 687 c.c. si giustifica per due ragioni: da un lato, esso dà luogo a una fattispecie di inefficacia sopravvenuta di un negozio; dall'altro, esso pone una deroga al principio della prevalenza della successione testamentaria su quella legittima, valorizzato dall'art. 457 c.c., secondo cui non si fa luogo alla successione legittima se non quando manca in tutto o in parte quella testamentaria.
 
CASSAZIONE CIVILE SEZ. II - 21/05/2019, N. 13680


La dichiarazione giudiziale di paternità anche se intervenuta dopo la morte del de cuius comporta la revocazione del testamento per sopravvenienza di figli.In tema di revocazione del testamento per sopravvenienza di figli, il disposto dell'art. 687 c.c., comma 1, ha un fondamento oggettivo, riconducibile alla modificazione della situazione familiare rispetto a quella esistente al momento in cui il de cuius ha disposto dei suoi beni, sicché, dovendo ritenersi che tale modificazione sussista non solo quando il testatore riconosca un figlio ma anche quando venga esperita nei suoi confronti vittoriosamente l'azione di accertamento della filiazione, il testamento è revocato anche nel caso in cui si verifichi il secondo di tali eventi in virtù del combinato disposto dell'art. 277 c.c., comma 1, e art. 687 c.c., senza che abbia alcun rilievo che la dichiarazione giudiziale di paternità o la proposizione della relativa azione intervengano dopo la morte del de cuius, né che quest'ultimo, quando era in vita, non abbia voluto riconoscere il figlio, pur essendo a conoscenza della sua esistenza.

La pronunzia in esame conferma il recente orientamento assunto dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la dichiarazione giudiziale di paternità (nel caso di specie, intervenuta, fra l'altro, dopo la morte del de cuius) comporta la revocazione del testamento per sopravvenienza di figli, nonostante l'art. 687 c.c. faccia riferimento alla sola e differente fattispecie di riconoscimento di figlio naturale.
 

La ratio della revocazione, ex art. 687 c.c., delle disposizioni, a titolo universale o particolare, va individuata nell'esigenza di tutelare i figli del disponente.
 

L'art. 687 c.c. realizza a favore dei legittimari un risultato ulteriore rispetto a quello che questi potrebbero conseguire con la semplice azione di riduzione.

Infatti, la disciplina della riserva non contempla l'inefficacia totale delle disposizioni del de cuius, ma la sola riduzione di quelle lesive per i legittimari.
 
Per consulenza legale scrivere al seguente indirizzo mail: avv.chiaraconsani@gmail.com

 

lunedì 20 maggio 2019

IL DIRITTO DI ABITAZIONE IN CASO DI MORTE CONIUGE SEPARATO NON PIU’ CONVIVENTE


La Corte di Cassazione, con la sentenza 22 ottobre 2014, n. 22456, precisa che il diritto di abitazione sulla casa familiare, non può essere attribuito al coniuge superstite quando lo stesso sia legalmente separato e non più convivente nella casa oggetto della disposizione successoria.

In caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l’impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare al momento dell’apertura della successione fa venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell’attribuzione del diritto reale di abitazione al coniuge superstite.

L'art 540 c.c. riserva al coniuge del defunto il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la arredano.

L’art 548 c.c. attribuisce genericamente al coniuge separato cui non è stata addebitata la separazione, gli stessi diritti successori del coniuge non separato, si era ritenuta l’estensione automatica del diritto di abitazione.

Solo di recente la giurisprudenza di legittimità ha chiarito la questione dopo un decennio di contrastanti interpretazioni.

La sentenza n. 13.407 del 12/06/2014 ha ritenuto che il diritto reale di abitazione, riservato per legge al coniuge superstite ha ad aggetto l'immobile che in concreto era adibito a residenza familiare in cui entrambi i coniugi vivevano insieme stabilmente organizzandovi la vita domestica del gruppo familiare.

La Ratio della norma di cui all’art 540 c.c. non è tanto la tutela dell' ”interesse economico” del coniuge superstite di disporre di un alloggio, quanto dell'”interesse morale” legato alla conservazione dei rapporti affettivi e consuetudinari con la casa familiare.

Ad esempio: la conservazione della memoria del coniuge scomparso, e lo stato sociale goduto durante il matrimonio.

In caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l'impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare fa venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell'attribuzione del diritto di abitazione.

In maniera del tutto speculare la legge Cirinnà (L. n. 76/2016) ha previsto una specie di “diritto di abitazione sulla casa familiare”, anche se limitato nel tempo, al partner del defunto unito civilmente ricalcando, quindi, la disciplina dell’art. 540 Cod. Civ..

PER CHIARIMENTI E CONSULENZE SCRIVERE ALLA SEGUENTE MAIL: AVV.CHIARACONSANI@GMAIL.COM

ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE IN SEDE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO ED OPPONIBILITA’ AI TERZI


Sentenza Cassazione civile, sez. II, 24/01/2018, n. 1744 che conferma l’ormai consolidato orientamento delle Sezioni Unite espresso con la Sentenza n. 11096 del 2002.

La Suprema Corte ha precisato che, il provvedimento di assegnazione della casa coniugale individua una posizione di «detenzione qualificata» a favore del coniuge assegnatario, essendo diretto a tutelare l’interesse della prole a permanere nell’abituale ambiente domestico. Tale diritto è opponibile al terzo che abbia acquistato successivamente una posizione giuridica incompatibile con quella del coniuge assegnatario (Cassazione, Sezioni Unite, 11096/2002); inoltre, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare, in quanto avente data certa, è opponibile al terzo acquirente in data successiva, per nove anni dalla data di assegnazione, sia che il provvedimento giudiziale sia stato o meno trascritto nei Registri immobiliari.

Al principio di opponibilità al terzo acquirente del provvedimento di assegnazione consegue che il terzo è tenuto a rispettare il godimento del coniuge, nei limiti di durata innanzi precisati, quale vincolo di destinazione collegato all'interesse dei figli, e quindi con esclusione di qualsiasi obbligo di pagamento da parte del beneficiario per tale godimento. 
 
Per ogni chiarimento non esitare a contattarmi via una e-mail: avv.chiaraconsani@gmail.com



sabato 4 novembre 2017

LE DONAZIONI DI STRUMENTI FINANZIARI DAL CONTO DI DEPOSITO TITOLI A MEZZO BANCA

 
Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 18725 del 27 luglio 2017
Le Sezioni Unite hanno sciolto i dubbi sulla questione se un trasferimento di valori mobiliari mediante ordine impartito alla banca possa considerarsi donazione diretta o meno.

Le Sezioni Unite hanno così enunciato il seguente principio di diritto:

“ Il trasferimento per spirito di liberalità di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiario realizzato a mezzo banca, attraverso l’esecuzione di un ordine di bancogiro impartito dal disponente, non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione tipica ad esecuzione indiretta. Ne deriva che la stabilità dell’attribuzione patrimoniale presuppone la stipulazione dell’atto pubblico di donazione tra beneficiante e beneficiario, salvo che ricorra l’ipotesi della donazione di modico valore.”

La vicenda riguarda un trasferimento di valori mobiliari di cospicuo valore, depositati su conto bancario, eseguito a favore di un terzo – la convivente – in virtù di un ordine in tal senso impartito alla banca dal titolare del conto, deceduto pochi giorni dopo l’operazione. Apertasi la successione, la figlia del de cuius chiedeva la restituzione degli strumenti finanziari appartenuti al padre tenuti in un apposito conto di deposito titoli in amministrazione presso la banca, deducendo la nullità del negozio attributivo in quanto privo della forma solenne richiesta per la validità della donazione.

La questione giuridica di fondo affrontata dalle Sezioni Unite è la seguente:

un’operazione attributiva di strumenti finanziari, compiuta attraverso una banca chiamata a dare esecuzione all’ordine di trasferimento dei titoli impartito dal titolare con operazioni contabili di addebitamento e di accreditamento, costituisce una donazione tipica ex 769 c.c. oppure una donazione indiretta ai sensi dell’art. 809 c.c..?

Le Sezioni Unite in sintesi ritengono che l’operazione bancaria in adempimento dell’ordine impartito dal soggetto svolgerebbe una funzione esecutiva di un atto negoziale ad esso esterno, intercorrente tra il beneficiante e il beneficiario, il quale soltanto è in grado di giustificare gli effetti del trasferimento di valori da un patrimonio all’altro. Osserva la Corte, in altre parole, “si è di fronte, cioè, non ad una donazione attuata indirettamente in ragione della realizzazione indiretta della causa donandi, ma ad una donazione tipica ad esecuzione indiretta”, per cui il trasferimento trova la propria giustificazione nel rapporto tra l’ordinante – disponente e il beneficiario, dal quale dovrà desumersi se l’accreditamento (atto neutro) sia sorretto da una iusta causa: “di talché, ove questa si atteggi a causa donandi, occorre, ad evitare la ripetibilità dell’attribuzione patrimoniale da parte del donante, l’atto pubblico di donazione tra il beneficiante e il beneficiario, a meno che si tratti di donazione di modico valore”.

La riconduzione della fattispecie nella donazione diretta ha ricadute applicative assai rilevanti, ove si consideri che l’onere di forma è espressamente previsto dalla legge solamente per le donazioni dirette con la conseguente nullità nel caso di mancanza della forma solenne (atto pubblico e presenza dei testimoni).

venerdì 30 novembre 2012

LEGGE STORICA I FIGLI NATURALI COME QUELLI LEGITTIMI


Il Parlamento ha approvato definitivamente un progetto di legge volto ad eliminare dall'ordinamento le residue distinzioni tra figli legittimi e figli naturali, affermando il principio dell'unicità dello stato giuridico dei figli.

Il 27 novembre 2012 l'Assemblea della Camera ha definitivamente approvato l'AC. 2519-B.

Il provvedimento era già stato approvato dalla Camera in prima lettura nel giugno 2011, per essere poi modificato dal Senato il 16 maggio 2012. La Camera in seconda lettura non ha apportato ulteriori modifiche al testo.

L'AC. 2519-B, approvato dalla Camera il 27 novembre 2012, consta di sei articoli concernenti:

- nuove disposizioni, sostanziali e processuali, in materia di filiazione naturale e relativo riconoscimento, ispirate al principio "tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico";

- delega al Governo per la modifica delle disposizioni vigenti per eliminare ogni discriminazione tra figli legittimi, naturali e adottivi;

- ridefinizione delle competenze fra tribunali ordinari e tribunali dei minorenni in materia di procedimenti di affidamento e mantenimento dei figli; sono inoltre dettate disposizioni a garanzia del diritto dei figli agli alimenti e al mantenimento;

- disposizioni transitorie e in materia di stato civile (artt. 4 e 5);

- la clausola di invarianza finanziaria.


I principali profili sui quali era intervenuto con modifiche il Senato sono i seguenti:

- art. 251 c.c., con una novella volta ad ampliare le ipotesi di riconoscimento dei figli incestuosi;

- cognome del figlio naturale, con la soppressione della disposizione introdotta dalla Camera che, intervenendo sull'art. 262 c.c., prevedeva che il figlio potesse assumere il cognome del padre aggiungendolo (e non più sostituendolo) a quello della madre;

- art. 276 c.c., in materia di legittimazione passiva alla domanda di dichiarazione giudiziale di paternità naturale;

- competenza del tribunale per i minorenni attraverso l'integrale riformulazione dell'articolo 3 del disegno di legge. Il Senato ha infatti attribuito al tribunale ordinario - al posto del tribunale per i minorenni - un'ampia serie di controversie (dal riconoscimento dei figli naturali all'affidamento del figlio naturale ed al suo inserimento nella famiglia legittima; assunzione del cognome del minore; autorizzazione all’impugnazione del riconoscimento del figlio naturale; decisioni nell’interesse del figlio in caso di contrasto tra i genitori; esercizio della potestà dei genitori; dichiarazione giudiziale di paternità o maternità).


La norma interviene a sanare le differenze ancora esistenti nello status dei figli nati da coppie non sposate. Prima fra tutte, il pieno riconoscimento all’interno della famiglia.
Fino ad ora i figli naturali essi hanno avuto come parenti solo i genitori con profonde ricadute sulla possibilità della famiglia di tutelarli, in caso di scomparsa o impossibilità dei genitori, sul diritto successorio e sulle procedure in caso di separazione, affidate al Tribunale dei minorenni e non a quello ordinario.

La norma ha notevoli effetti sul piano ereditario.

a) Il diritto di commutazione:
La principale discriminazione dei figli naturali rispetto ai figli legittimi è rappresentato dal diritto di commutazione di cui all’articolo 537, comma 2 del codice civile.
Tale norma, prevede, infatti, che “i figli legittimi possono soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli naturali che non vi si oppongano. Nel caso di opposizione decide il giudice valutate le circostanze personali e patrimoniali”.
Con la riforma in esame venendo meno la distinzione tra i figli naturali e figli legittimi dovrebbe venir meno anche il diritto di commutazione che ad essi si riferiva. Insomma da ora in poi i figli al di fuori del matrimonio non potranno più essere liquidati ma entreranno a pieno titolo e pari merito con i legittimi nella comunione ereditaria.

B) Successione tra fratelli
La novità maggiore riguarda la successione tra fratelli.
Prima della riforma posto che il riconoscimento del figlio naturale  faceva sorgere rapporti solo tra il genitore e figlio riconosciuto e non tra quest’ultimo e i suoi fratelli non vi era alcun rapporto di parentela tra fratelli naturali e fratelli legittimi.
La Corte costituzionale, con la sentenza del 4 luglio 1979 e quella successiva del 12 aprile 1990 n. 184, aveva solo parzialmente posto rimedio a questa situazione stabilendo che alla morte del fratello naturale, l’altro fratello avrebbe ereditato qualora il defunto non avesse coniuge, figli ed altri parenti entro il sesto grado. Pertanto soltanto in assenza di parenti entro il sesto grado sarebbe subentrato il fratello naturale con priorità sullo Stato.
Oggi con l’equiparazione della filiazione naturale a quella legittima, se muore una persona priva di figli, muore, i suoi fratelli erediteranno sia che siano fratelli legittimi o fratelli naturali senza più alcuna discriminazione.



venerdì 25 marzo 2011

FIGLI LEGITTIMI E FIGLI NATURALI FINALMENTE, forse, NON PIÙ DIVERSI:


Il figlio naturale è il figlio generato da un uomo e una donna non legati da un matrimonio valido agli effetti civili.

Evoluzione storico giuridica :

1942
Il diritto di famiglia come codificato nel 1942 concepiva una famiglia fondata sulla discriminazione dei figli nati fuori dal matrimonio, che ricevevano un trattamento giuridico deteriore rispetto ai figli legittimi. Le sue norme dettavano una situazione di vera inferiorità giuridica dei figli naturali, cioè nati fuori del matrimonio, sacrificandone i diritti a favore di familiari e persino a favore di parenti lontani.

1948
La Costituzione dedica alla famiglia tre articoli.
- L'art. 29 stabilisce che "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare".
- L'art. 30 stabilisce che "È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità".
- L'art. 31 stabilisce che "La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo".
Da queste tre disposizioni costituzionali si possono desumere alcuni principi:
il principio di autonomia della famiglia,
il principio di uguaglianza fra i coniugi,
il principio di tutela dei figli nati fuori dal matrimonio,
il principio dell'autonomia educativa,
il principio del sostegno pubblico ai compiti educativi della famiglia.

1975
Il primo libro del codice civile del 1942 venne riformato dalla Legge 19 maggio 1975, n. 151 "Riforma del diritto di famiglia", che apportò modifiche tese ad uniformare le norme ai principi costituzionali in tal senso ha eliminato ogni discriminazione di ordine patrimoniale tra figli naturali e legittimi.

Sono state mantenute solo alcune limitazioni per evitare che la tutela di alcuni interessi dei figli naturali possa creare gravi conflitti all'interno della famiglia legittima:

1) la famiglia legittima ha il diritto di rifiutare di convivere con il figlio naturale di uno dei coniugi.

2) la costituzione legale del rapporto giuridico di filiazione non si costituisce automaticamente, ma solo per effetto di un atto volontario del genitore riconoscimento di figlio naturale o di accertamento a opera del giudice. Ciò non significa che il solo fatto della procreazione non abbia rilevanza giacché essa è comunque fonte di responsabilità dei genitori (per quanto attiene il mantenimento per esempio).

3) i figli naturali non hanno rapporti 'giuridici' con i parenti del loro genitore a eccezione degli ascendenti, cioè nonni e bisnonni. Ciò significa, ad esempio, che non acquisiscono legalmente 'zii' o 'cugini'.

4) in materia di procedura giudiziaria per la regolamentazione dei rapporti personali e patrimoniali in caso di cessazione della convivenza dei genitori, la competenza a decidere dell'affidamento e del mantenimento dei figli naturali minorenni o maggiorenni non autosufficienti sarà del Tribunale per i Minorenni anziché del Tribunale Ordinario, come è invece per i figli legittimi in caso di separazione dei genitori.

 5) Art 537 C.C. in caso di concorso all'eredità dei genitori con figli legittimi della coppia (quindi con i fratelli nati in costanza di matrimonio), i figli naturali possono veder liquidata in denaro la quota di eredità loro spettante anziché acquisire i beni che sarebbero loro riservati.
Ciò non significa che abbia diritto ad una quota minore di eredità ma solo che i fratelli legittimi potranno esercitare l'opzione di riconoscere ai fratelli naturali l'equivalente in denaro della loro parte anziché l'assegnazione dei beni.

Il legislatore della riforma del diritto di famiglia, modificando radicalmente quanto in precedenza previsto dall’art. 541 cod. civ. (abrogato dall’art. 177 della stessa legge n. 151 del 1975) – ha equiparato i diritti successori dei figli legittimi e naturali, contestualmente rimodulando il menzionato diritto di commutazione (che riguarda la fase di divisione dell’asse ereditario), trasformato da insindacabile diritto meramente potestativo attribuito ai figli legittimi a diritto ad esercizio puntualmente controllato, in quanto soggetto alla duplice condizione della mancata opposizione del figlio naturale e della decisione del giudice, «valutate le circostanze personali e patrimoniali».

Occorre rilevare che la Corte Costituzionale chiamata a pronunciarsi sulla costituzionalità di tale norma anche come riformata nel 1975, con la Sentenza 18 dicembre 2009, n. 335, ha affermato che la norma sopra richiamata si colloca nella prospettiva del progressivo adeguamento della normativa allo spirito evolutivo di cui al precetto costituzionale del terzo comma dell’art. 30, che permea la riforma del diritto di famiglia e che è soggetta anche al limite, stabilito dalla medesima disposizione costituzionale, della compatibilità con i diritti dei membri della famiglia legittima (sentenza n. 168 del 1984).

L’espresso riferimento della Costituzione al criterio di “compatibilità” assume la funzione di autentica clausola generale, aperta al divenire della società e del costume.

In tal senso la Cassazione ha ritenuto che la scelta del legislatore di conservare in capo ai figli legittimi la possibilità di richiedere la commutazione, condizionata dalla previsione della facoltà di opposizione da parte del figlio naturale e dalla valutazione delle specifiche circostanze posta a base della decisione del giudice, non contraddice la menzionata aspirazione alla tendenziale parificazione della posizione dei figli naturali, giacché non irragionevolmente si pone ancor oggi (quale opzione costituzionalmente non obbligata né vietata) come termine di bilanciamento (compatibilità) dei diritti del figlio naturale in rapporto con i figli membri della famiglia legittima.


2010/2011

FORSE ad oggi dopo ben 69 anni di evoluzione storico sociale la nostra società ed il suo costume sono pronti ad una concreta equiparazione tra figli legittimi e figli naturali.

Ad ottobre 2010 il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge delega volto a modificare la disciplina in materia di filiazione con il fine di assicurare una sostanziale equiparazione dei diritti dei figli legittimi con quelli dei figli naturali.

Il disegno di legge si compone di quattro articoli.

1) Il primo introduce modifiche al codice civile: si sposta l’attenzione dal concetto di "potestà dei genitori" al più generale concetto delle relazioni che intercorrono tra genitori e figli. Accanto ai doveri dei genitori - mantenimento, educazione e istruzione (già previsti dalla Costituzione) - viene introdotto il diritto del figlio ad essere assistito moralmente, oltre che a crescere con la propria famiglia, ad avere rapporti con i parenti e ad essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.

Si introduce il principio generale della unicità dello stato giuridico di figlio, per effetto del quale le disposizioni in tema di filiazione si applicano a tutti i figli, senza distinzioni, salvi i casi in cui vi siano ragioni per distinguere i figli nati nel matrimonio da quelli nati fuori del matrimonio (le definizioni di "figli nati nel matrimonio" e "figli nati fuori dal matrimonio", sostituiscono quelle precedenti di "figli legittimi" e "figli naturali", adeguando, in tal modo, il codice civile, alla formula lessicale adottata dall’articolo 30 della Costituzione). 

2) Il secondo contiene la delega al Governo ad intervenire in materia della filiazione e di dichiarazione di stato di abbandono per eliminare ogni residua differenziazione tra i figli anche adottivi.

Alcuni tra i più significativi principi e criteri di delega sono la modifica della disciplina relativa al riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio: viene affermato il principio che il figlio riconosciuto è parente dei parenti del suo genitore. Si prevede, ai fini del riconoscimento, un abbassamento da 16 a 14 anni, dell’età richiesta per esprimere il consenso. Si afferma l’esigenza di un adeguamento della disciplina relativa all’inserimento del figlio nella famiglia del genitore che lo ha riconosciuto con quella dettata in materia di affidamento condiviso, prevedendosi comunque il consenso dell’altro coniuge convivente e l’ascolto degli altri figli conviventi.

Viene adeguata la disciplina sulle successioni e sulle donazioni con l’obiettivo di eliminare ogni discriminazione tra figli.

Per maggiori approfondimenti si veda: