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giovedì 18 febbraio 2021

POLIZZE VITA – DESIGNAZIONE - SUCCESSIONE IURE PROPRIO

Le polizze assicurative sulla vita si prestano ad essere utilizzate sia per la protezione del patrimonio (con un’importante funzione previdenziale), sia nell’ambito della pianificazione del passaggio generazionale e della successione in genere. In virtù della loro funzione previdenziale, le polizze sulla vita sono caratterizzate da impignorabilità e insequestrabilità. La legge dispone che le somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare, dunque sono impignorabili ed insequestrabili. Sono però fatte salve, rispetto ai premi pagati, le disposizioni relative alla revocazione degli atti compiuti in pregiudizio dei creditori (azione revocatoria) e quelle relative alla collazione, all'imputazione e alla riduzione delle donazioni. (art. 1923 c.c.). I creditori del contraente possono, dunque, far valere i propri diritti (esercitando l’azione revocatoria, se ne ricorrono i presupposti) sulla somma dovuta dalla compagina assicuratrice soltanto fino all’importo dei premi pagati dal contraente, e non sull’intera somma liquidata. Anche ai fini di determinare l’eventuale lesione dei diritti di legittima, si deve tenere conto soltanto della somma dei premi pagati dal contraente, e non della somma che viene liquidata al beneficiario dalla compagnia assicuratrice. La giurisprudenza ha precisato che l’impignorabilità e insequestrabilità riguarda soltanto la disciplina civile e non la responsabilità penale, in presenza della quale è possibile il sequestro preventivo (si veda, per esempio, Cass. 6 maggio 2014, n. 18736, relativa a un ipotesi di evasione fiscale, e Cass. 2 maggio 2007, n. 16658). La Corte di Cassazione ritiene inoltre che l’impignorabilità ed insequestrabilità della polizza sulla vita si applichi anche in caso di fallimento (Cass. 31 marzo 2008, n. 8271). Un aspetto importante alle polizze vita ed alla designazione del beneficiario attiene all'interpretazione della clausola con cui il contraente di un'assicurazione sulla vita designa quali beneficiari i propri eredi legittimi. Non è chiaro, infatti, se il riferimento alle regole sulla devoluzione ereditaria assuma rilevanza solo ai fini dell'individuazione dei soggetti o anche ai fini della ripartizione tra loro della somma assicurata. Nelle polizze vita esistono fondamentalmente quattro parti: il contraente, l’assicurato (che spesso coincidono), il beneficiario e l’assicuratore. Com’è noto, poi, la polizza vita ha la natura di un contratto a favore di un terzo, ossia di un contratto nel quale il beneficiario ottiene per diritto proprio inter vivos l’indennità, sebbene la liquidazione avvenga solo successivamente alla morte dell’assicurato. È infine, pacifico che i beneficiari possano sempre essere modificati, salvo che il beneficio sia stato accettato e perciò sia irrevocabile Il contratto di assicurazione difetta di quell'elemento essenziale dei negozi a causa di morte che consiste nell'attribuzione di un quod superest appartenente al patrimonio del de cuius al quale, invece, restano estranee le somme assicurate, a prescindere dalla forma della designazione. Anche in caso di designazione testamentaria, infatti, a dispetto di quanto affermato dalla tesi più tradizionale, l'acquisto deve intendersi pur sempre come acquisto tra vivi, limitandosi in tal caso il testamento a veicolare una manifestazione di volontà priva di carattere attributivo Molto spesso i beneficiari vengono individuati con designazioni che richiamano categorie generiche, o per relazione, quali “eredi legittimi”. Da questa generica designazione potrebbe nascere dei problemi. 1 – Se dopo la stipula dell’assicurazione e la designazione generica in favore degli eredi legittimi procedo alla stipula di un testamento il beneficiario della polizza cambia? Il potere di revoca della designazione fatta nel contratto di assicurazione si può realizzare attraverso la specifica individuazione di un nuovo soggetto beneficiario compiuta con il contratto o con il testamento, ma in quest’ultimo caso dovrà contenere un esplicito riferimento alla modifica dei beneficiari della polizza stessa, altrimenti vale la prima generica individuazione fatta nei confronti degli eredi legittimi. In pratica il testamento successivo alla stipula della polizza non revoca automaticamente la designazione dei beneficiari nella polizza sostituendo gli eredi testamentari a quelli legittimi, ma occorre un espresso riferimento alla loro revoca, quali beneficiari della polizza, in quanto il diritto si è acquisito al momento della designazione, anche se la liquidazione avviene in momento successivo, ossia al momento della morte dell’assicurato. Per evitare rischi è opportuno, non solo revocare espressamente nel testamento la designazione fatta in polizza, ma indicare nominativamente i beneficiari, nonché i vari sostituti, in una sorta di rappresentazione volontaria e non legale (art.1412, 2 comma c.c.). 2 – Se indico genericamente quali beneficiari gli eredi legittimi come avviene la liquidazione della polizza? La generica designazione degli eredi legittimi senza l’esatta identificazione delle quote da liquidare a ciascun beneficiario, in quanto è discusso se la suddivisione debba avvenire in parti uguali, oppure secondo il criterio proporzionale indicato dalla legge per le quote attribuite al singolo erede. Ebbene la Corte di Cassazione precisa che “quando in un contratto di assicurazione sulla vita sia stato previsto per il caso di morte dello stipulante che l’indennizzo debba corrispondersi agli eredi tanto con formula generica, quanto e, a maggior ragione, con formulazione evocativa degli eredi testamentari o in mancanza degli eredi legittimi, tale clausola, sul piano della corretta applicazione delle norme di esegesi del contratto e, quindi, conforme a detta disposizione, dev’essere intesa sia nel senso che le parti abbiano voluto tramite dette espressioni individuare per relationem con riferimento al modo della successione effettivamente verificatosi negli eredi chi acquista i diritti nascenti dal contratto stipulato a loro favore (art. 1920, comma secondo e terzo, cod. civ.), sia nel senso di correlare l’attribuzione dell’indennizzo ai più soggetti così individuati come eredi in misura proporzionale alla quota in cui ciascuno è succeduto secondo la modalità di successione effettivamente verificatasi, dovendosi invece escludere che, per la mancata precisazione nella clausola contrattuale di uno specifico criterio di ripartizione che a quelle modalità di individuazione delle quote faccia riferimento, che le quote debbano essere dall’assicuratore liquidate in misura eguale”. In questo contesto, per evitare questi rischi o equivoci potrebbe essere opportuno indicare anche la misura della quota, precisando anche l’accrescimento qualora qualcuno non possa o non voglia profittarne. PER CHIARIMENTI E CONSULENZE SCRIVERE ALLA SEGUENTE MAIL: avv.chiaraconsani@gmail.com

venerdì 12 febbraio 2021

EREDITÀ DIGITALE APPLE I-CLOUD PRIVACY E TUTELA POST-MORTEM

Il Tribunale di Milano con una ordinanza emessa il 10 febbraio 2021 all’interno di un procedimento cautelare promosso ai sensi degli artt. 669 bis e 700 c.p.c. ha condannato la Apple Italia S.r.l. a fornire assistenza a due genitori per il recupero dei dati personali dagli account del figlio scomparso improvvisamente. I ricorrenti, eredi del figlio deceduto, avevano intenzione di recuperare i dati contenuti nel I-cloud ed ivi archiviati, consistenti in video, fotografie allo scopo di realizzare un progetto dedicato alla sua memoria. I genitori sono stati costretti a ricorrere al Tribunale perché la società Apple rifiutava loro tale accesso e comunicava che dopo un determinato periodo di inattività dell’account iCloud, la medesima proceda normalmente alla distruzione dei dati contenuti. PROFILI NORMATIVI: L’art 27 del Reg. 2016/679 c.d. “GDPR”, precisa che il regolamento non si applica ai dati personali delle persone decedute, lasciando tuttavia agli Stati Membri dell’Unione la possibilità di prevedere delle norme interne riguardanti il trattamento dei dati personali delle stesse. Sul punto, il decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101 ha introdotto una specifica disposizione nel Codice in materia di protezione dei dati, ossia l’art. 2-terdecies, la quale è dedicata al tema della tutela post-mortem e dell’accesso ai dati personali del defunto: “I diritti di cui agli articoli da 15 a 22 del Regolamento riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell'interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione (…) L'esercizio dei diritti di cui al comma 1 non è ammesso nei casi previsti dalla legge o quando, limitatamente all'offerta diretta di servizi della società dell'informazione, l'interessato lo ha espressamente vietato con dichiarazione scritta presentata al titolare del trattamento o a quest'ultimo comunicata”. Non risulta tuttavia chiarito dal legislatore se l’acquisto dei diritti dell’interessato deceduto sia un acquisto mortis causa oppure rappresenti una legittimazione iure proprio, limitandosi a prevedere quello che la più attenta dottrina ha qualificato in termini di “persistenza” dei diritti oltre la cessazione della vita della persona fisica interessata. Tale persistenza assume un rilievo preminente a livello dei rimedi giudizialmente esperibili. CONSIDERAZIONI: Sarà sempre più importante valutare il destino dei nostri dati anche tramite un testamento, in quanto, sui dati del defunto potrebbero sorgere criticità non solo di legittimazione all’esercizio dei diritti (si pensi che tali diritti siano in capo a più coeredi anche in contrapposizione tra di loro) ma anche in termini di definizione della normativa applicabile. Per una consulenza non esitare a contattarmi via mail avv.chiaraconsani@gmail.com

venerdì 28 febbraio 2020

REVOCA DEL TESTAMENTO PER SOPRAVVENIENZA DI FIGLI.


L'art. 687 c.c. stabilisce che le disposizioni sia a titolo universale sia a titolo particolare, fatte da chi al tempo del testamento non aveva oppure ignorava di avere figli o discendenti sono revocate di diritto per l'esistenza o la sopravvenienza di un figlio o discendente  del testatore, benché postumo anche adottivo, ovvero per il riconoscimento di un figlio naturale.

La fattispecie legale della revocazione di diritto riguarda sia il caso in cui il testatore non aveva discendenza al tempo del testamento, sia l'ipotesi in cui la discendenza c'era già, ma egli ne ignorava l'esistenza.

La disposizione in esame, secondo l'orientamento prevalente non si applica per il caso del testamento redatto dal de cuius che, al momento della sua predisposizione, già avesse figli, dei quali fosse nota l'esistenza, e sia sopraggiunto un altro figlio.

Se il testatore aveva già avuto dei figli dei quali gli era nota l'esistenza al tempo della redazione del testamento e ne siano, successivamente, sopraggiunti degli altri, la revoca non è operante.

Ne deriva che è preclusa l'applicazione in via analogica alla fattispecie di figlio sopraggiunto dopo la redazione del testamento effettuata in presenza di altri figli.

L'eccezionalità dell'art. 687 c.c. si giustifica per due ragioni: da un lato, esso dà luogo a una fattispecie di inefficacia sopravvenuta di un negozio; dall'altro, esso pone una deroga al principio della prevalenza della successione testamentaria su quella legittima, valorizzato dall'art. 457 c.c., secondo cui non si fa luogo alla successione legittima se non quando manca in tutto o in parte quella testamentaria.
 
CASSAZIONE CIVILE SEZ. II - 21/05/2019, N. 13680


La dichiarazione giudiziale di paternità anche se intervenuta dopo la morte del de cuius comporta la revocazione del testamento per sopravvenienza di figli.In tema di revocazione del testamento per sopravvenienza di figli, il disposto dell'art. 687 c.c., comma 1, ha un fondamento oggettivo, riconducibile alla modificazione della situazione familiare rispetto a quella esistente al momento in cui il de cuius ha disposto dei suoi beni, sicché, dovendo ritenersi che tale modificazione sussista non solo quando il testatore riconosca un figlio ma anche quando venga esperita nei suoi confronti vittoriosamente l'azione di accertamento della filiazione, il testamento è revocato anche nel caso in cui si verifichi il secondo di tali eventi in virtù del combinato disposto dell'art. 277 c.c., comma 1, e art. 687 c.c., senza che abbia alcun rilievo che la dichiarazione giudiziale di paternità o la proposizione della relativa azione intervengano dopo la morte del de cuius, né che quest'ultimo, quando era in vita, non abbia voluto riconoscere il figlio, pur essendo a conoscenza della sua esistenza.

La pronunzia in esame conferma il recente orientamento assunto dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la dichiarazione giudiziale di paternità (nel caso di specie, intervenuta, fra l'altro, dopo la morte del de cuius) comporta la revocazione del testamento per sopravvenienza di figli, nonostante l'art. 687 c.c. faccia riferimento alla sola e differente fattispecie di riconoscimento di figlio naturale.
 

La ratio della revocazione, ex art. 687 c.c., delle disposizioni, a titolo universale o particolare, va individuata nell'esigenza di tutelare i figli del disponente.
 

L'art. 687 c.c. realizza a favore dei legittimari un risultato ulteriore rispetto a quello che questi potrebbero conseguire con la semplice azione di riduzione.

Infatti, la disciplina della riserva non contempla l'inefficacia totale delle disposizioni del de cuius, ma la sola riduzione di quelle lesive per i legittimari.
 
Per consulenza legale scrivere al seguente indirizzo mail: avv.chiaraconsani@gmail.com

 

martedì 28 maggio 2019

CONIUGE CHIAMATO ALL’EREDITA’


CONIUGE CHIAMATO ALL’EREDITA’

ART 485 C.C.

RINUNCIA ALL’EREDITA’ E DIRITTO DI ABITAZIONE EX ART 540 COMMA SECONDO C.C.

Al verificarsi dell’evento morte i chiamati all’eredità, coloro che sono stati indicati nel testamento ovvero, in assenza di atto di ultima volontà, i chiamati per legge, perché siano a tutti gli effetti eredi, devono accettare la quota di eredità a loro spettante.

L’accettazione può essere espressa o tacita: la prima è quella che risulta da atto scritto nel quale emerga chiaramente la volontà di far propria una parte dell’asse ereditario; la seconda si concreta in un comportamento che inequivocabilmente manifesti l’intenzione di divenire erede a tutti gli effetti.

Eccezionalmente, esistono dei casi in cui l’eredità si acquista senza alcuna accettazione, tacita o espressa che sia; si tratta: del chiamato che sia già in possesso dei beni ereditari e che, entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione, non abbia redatto inventario.

L'art. 485 cc prescrive che il chiamato all'eredità, quando a qualsiasi titolo è nel possesso di beni ereditari, deve fare l'inventario entro tre mesi dal giorno dell'apertura della successione o della notizia della devoluta eredità. Trascorso tale termine senza che l'inventario sia stato compiuto, il chiamato all'eredità è considerato erede puro e semplice.

In merito alla posizione del coniuge residente presso la casa coniugale e chiamato all’eredità, ciò che rileva ai fini dell’applicazione o meno dell’art 485 c.c. è la natura dei diritti di abitazione della casa adibita a residenza familiare e dell'uso dei mobili che la corredano, attribuiti al coniuge superstite dall'art. 540, co. 2 c.c. come novellato dalla l. 19 settembre 1975 n. 151.

L’orientamento espresso dalle Sezioni Unite Corte di Cassazione con la Sentenza n. 4847/13 supera quello espresso dalla Sentenza n. 11018/08, secondo cui il disposto dell'art. 540 c.c. - attributivo al coniuge superstite dei diritti di abitazione della casa familiare in proprietà del de cuius e di uso della relativa mobilia-  opererebbe solo nell'ambito della successione necessaria e non nell'ambito della successione legittima; cosicché, nel caso di successione legittima, l'abitazione, da parte del coniuge superstite, della casa familiare già in proprietà, anche parziale, del de cuius implicherebbe l'applicazione dell'art. 485 c.c., ai cui fini è sufficiente che il possesso riguardi anche uno solo dei beni ereditari (e dunque anche solo la quota della casa coniugale già di proprietà del "de cuius").

Le Sezioni Unite hanno invece affermato l'opposto principio secondo il quale i diritti di abitazione nella casa familiare e di uso della relativa mobilia spettano al coniuge superstite anche nella successione legittima.

Alla luce del richiamato orientamento delle Sezioni Unite, il solo fatto della permanenza del coniuge superstite nella casa familiare già in proprietà, anche parziale, del de cuius non può dunque ritenersi necessariamente una manifestazione di possesso dei beni ereditari, dovendo intendersi come il mero esercizio dei diritti di abitazione e di uso attribuiti al coniuge a titolo di legati ex lege.

In questo senso peraltro, già nel 2008, si era espressa la Sezione tributaria con la sentenza n. 1920/08, ove si precisava che i diritti di abitazione e di uso previsti dall'art. 540 c.c. a favore del coniuge superstite non sorgono in capo a quest'ultimo a titolo successorio - derivativo, bensì a diverso titolo, costitutivo, fondato sulla qualità di coniuge e prescindente dai diritti successori. Cosicché "Il titolo che abilita il coniuge al possesso del bene trova giustificazione nella norma civilistica che lo attribuisce indipendentemente dalla qualità di erede, con cui del resto il diritto di abitazione non ha nulla da spartire, essendo tale diritto acquisito, semmai, in forza di legato ex lege".

Per quanto sopra esposto il coniuge del defunto che continua ad abitare nella casa coniugale anche dopo i tre mesi dalla morte potrà ancora rinunciare all’eredità non trovandosi nel c.d. possesso dei beni ereditari disciplinato dall’art 485 c.c.

Per ogni chiarimento non esitare a contattarmi via una e-mail: avv.chiaraconsani@gmail.com

 

sabato 4 novembre 2017

LE DONAZIONI DI STRUMENTI FINANZIARI DAL CONTO DI DEPOSITO TITOLI A MEZZO BANCA

 
Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 18725 del 27 luglio 2017
Le Sezioni Unite hanno sciolto i dubbi sulla questione se un trasferimento di valori mobiliari mediante ordine impartito alla banca possa considerarsi donazione diretta o meno.

Le Sezioni Unite hanno così enunciato il seguente principio di diritto:

“ Il trasferimento per spirito di liberalità di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiario realizzato a mezzo banca, attraverso l’esecuzione di un ordine di bancogiro impartito dal disponente, non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione tipica ad esecuzione indiretta. Ne deriva che la stabilità dell’attribuzione patrimoniale presuppone la stipulazione dell’atto pubblico di donazione tra beneficiante e beneficiario, salvo che ricorra l’ipotesi della donazione di modico valore.”

La vicenda riguarda un trasferimento di valori mobiliari di cospicuo valore, depositati su conto bancario, eseguito a favore di un terzo – la convivente – in virtù di un ordine in tal senso impartito alla banca dal titolare del conto, deceduto pochi giorni dopo l’operazione. Apertasi la successione, la figlia del de cuius chiedeva la restituzione degli strumenti finanziari appartenuti al padre tenuti in un apposito conto di deposito titoli in amministrazione presso la banca, deducendo la nullità del negozio attributivo in quanto privo della forma solenne richiesta per la validità della donazione.

La questione giuridica di fondo affrontata dalle Sezioni Unite è la seguente:

un’operazione attributiva di strumenti finanziari, compiuta attraverso una banca chiamata a dare esecuzione all’ordine di trasferimento dei titoli impartito dal titolare con operazioni contabili di addebitamento e di accreditamento, costituisce una donazione tipica ex 769 c.c. oppure una donazione indiretta ai sensi dell’art. 809 c.c..?

Le Sezioni Unite in sintesi ritengono che l’operazione bancaria in adempimento dell’ordine impartito dal soggetto svolgerebbe una funzione esecutiva di un atto negoziale ad esso esterno, intercorrente tra il beneficiante e il beneficiario, il quale soltanto è in grado di giustificare gli effetti del trasferimento di valori da un patrimonio all’altro. Osserva la Corte, in altre parole, “si è di fronte, cioè, non ad una donazione attuata indirettamente in ragione della realizzazione indiretta della causa donandi, ma ad una donazione tipica ad esecuzione indiretta”, per cui il trasferimento trova la propria giustificazione nel rapporto tra l’ordinante – disponente e il beneficiario, dal quale dovrà desumersi se l’accreditamento (atto neutro) sia sorretto da una iusta causa: “di talché, ove questa si atteggi a causa donandi, occorre, ad evitare la ripetibilità dell’attribuzione patrimoniale da parte del donante, l’atto pubblico di donazione tra il beneficiante e il beneficiario, a meno che si tratti di donazione di modico valore”.

La riconduzione della fattispecie nella donazione diretta ha ricadute applicative assai rilevanti, ove si consideri che l’onere di forma è espressamente previsto dalla legge solamente per le donazioni dirette con la conseguente nullità nel caso di mancanza della forma solenne (atto pubblico e presenza dei testimoni).

mercoledì 27 agosto 2014

OPPOSIZIONE ALLA DONAZIONE DIRETTA - INDIRETTA - SIMULATA


L’OPPOSIZIONE ALLA DONAZIONE DIRETTA

SCOPI E FINI NEI CONFRONTI DEI TERZI AVENTI CAUSA

Art 563 c.c.

La reintegrazione dei diritti del legittimario si compie dapprima attraverso l’esperimento dell'azione di riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni che provocano la lesione della legittima, e poi con l’esperimento dell'azione di restituzione nei confronti dei beneficiari delle disposizioni ridotte e dell'azione di restituzione nei confronti dei loro aventi causa

La legge n.80/2005 ha novellato il quadro normativo di riferimento, e le novità concernono:

1)      LA TUTELA DEGLI ACQUIRENTI DI BENI PROVENIENTI DA DONAZIONE:

Prima del 15 maggio 2005, data di entrata in vigore della citata legge, i terzi acquirenti dei beni donati o pervenuti per testamento al loro dante causa erano sempre a rischio di doverli restituire al legittimario leso, e difficilmente potevano, poi, soddisfare il loro credito di regresso.

La novità introdotta nel quadro normativo è che l'azione di restituzione nei confronti dei terzi aventi causa non può essere promossa qualora siano decorsi oltre venti anni dalla donazione; Al fine di evitare che il termine ventennale pregiudichi i legittimari, costoro possono formulare un'opposizione stragiudiziale alla donazione.

In pratica essi notificano la volontà e la ferma determinazione di opporsi alla donazione al beneficiario della stessa, e la rendono pubblica mediante trascrizione nei registri della conservatoria immobiliare. In tal caso, il termine di venti anni è sospeso, ed i terzi ben si guarderebbero dall'acquistare beni precedentemente donati.

Le disposizioni contenute nella citata legge, hanno previsto, pertanto, un'ulteriore scadenza ventennale, entro cui i legittimari devono esercitare le loro pretese, altrimenti non potranno più rivendicare le loro ragioni verso i terzi acquirenti, ed in tal modo hanno agevolato e migliorato la circolazione giuridica dei beni provenienti da donazioni; ma al contempo hanno istituito l'opposizione alla donazione che costituisce, sicuramente, una maggiore tutela per i legittimari lesi.

L’effetto della opposizione è quello di sospendere il decorso del ventennio dalla donazione conservando in tal modo l’azione di restituzione contro il terzo avente causa dal donatario ed evitando l’effetto purgativo dei pesi e delle ipoteche.

L’OPPOSIZIONE ALLE DONAZIONI INDIRETTE E/O SIMULATE

SCOPI E FINI NEI CONFRONTI DEI FUTURI COEREDI

2)      LA TUTELA DEL LEGITTIMARIO NON DONATARIO NEI CONFRONTI DEL DONATARIO AI FINI DELLA FUTURA COLLAZIONE E DEL CALCOLO DELLA LEGITTIMA;

Una volta accertato che la nuova legge sancisce che l’atto di opposizione va diretto contro l’atto di donazione, sorge immediatamente la questione di approfondire se l’opposizione sia proponibile anche contro le donazioni “indirette” o “dissimulate” (“dietro” un atto non donativo) e quindi, conseguentemente, di verificare il tema della trascrivibilità di una tale opposizione nei Registri Immobiliari.

Prima della novella del 2005, l’azione di simulazione finalizzata all’esperimento della azione di riduzione a tutela del legittimario leso da un atto sostanzialmente donativo ma formalmente oneroso non era ovviamente concepibile prima della morte del donante poiché solo a questo punto ci si poteva porre un problema di lesione della legittima

Dopo la novella del 2005, invece, in vita del donante ben si può invece porre il problema della declaratoria della simulazione, poiché si tratta non più di una azione di simulazione finalizzata all’ esperimento dell’azione di riduzione ma di una azione di simulazione finalizzata alla trascrizione dell’atto di “opposizione”.

Pertanto durante la vita del “donante” e prima del decorso del ventennio, il legittimato a proporre “opposizione” in tanto potrà trascriverla in quanto preventivamente trascriva una domanda giudiziale di accertamento della simulazione dell’atto formalmente oneroso cosi il terzo acquirente che trascrive il proprio acquisto dopo la trascrizione della domanda di simulazione non può beneficiare del decorso del ventennio e quindi resta esposto ad un possibile esperimento dell’azione di restituzione.

PER CHIARIMENTI E CONSULENZE SCRIVERE ALLA SEGUENTE MAIL: CHIARA.CONSANI@VIRGILIO.IT

martedì 22 marzo 2011

Testamento digitale- password e decesso dell'utente:


Il problema del diritto all'accesso alla posta elettronica di un defunto è una questione che presente imminenti caratteri di attualità.

Negli Stati Uniti la questione è stata affrontata in due circostanze differenti.

La prima volta nel 2005 su richiesta della famiglia di un marine scomparso la Probate Court della Oakland County ordinò al provider statunitense Yahoo di consegnare ai genitori tutta la corrispondenza giacente nella casella di posta elettronica del giovane militare.

La seconda volta nel 2007 la figlia di un poeta (tal William Talcott) non ha potuto accedere alla casella di posta elettronica del padre, dopo la sua morte, poiché lo stesso non aveva reso note a nessuno le sue credenziali di autenticazione. La legittima erede ha chiesto l’accesso alla casella di posta elettronica del de cuius al provider Yahoo il quale si è rifiutato di consegnare la password per motivi di privacy. La disputa ha dato vita ad un contenzioso il quale è stato risolto dal Giudice americano con il rigetto in toto la richiesta dell’erede.

La riservatezza dei messaggi e-mail costituisce uno degli argomenti più discussi nel diritto delle nuove tecnologie.

Quanto alla legislazione italiana è opportuno premettere che ad oggi la nostra legislazione non consente di dare una risposta certa posta altresì la mancanza di casi giurisprudenziali in tal senso. Inoltre si da atto come la questione e-mail tocchi vari interessi in gioco: il diritto alla privacy dell’utente della mail e di tutti coloro che erano in contatto con lui, il diritto successorio in capo agli eredi ed eventualmente un interesse della comunità a conoscere gli scritti dell’utente poeta come nel caso americano sopra riportato.

Si da atto come il Garante della privacy in Italia ritiene che non si può consegnare a nessuno, nemmeno agli eredi, una casella di posta elettronica perché può contenere dati personali non soltanto del defunto ma di tutti i suoi interlocutori. L’accesso va proibito nel modo più assoluto. A differenza di un conto corrente bancario che gli eredi sono legittimati a conoscere una casella e-mail contiene una corrispondenza intima che deve rimanere segreta.

In tal senso la consegna di password relative alla posta elettronica paleserebbero una violazione sia dell’art 15 della Costituzione che dell’art 616 del codice penale che parifica la comunicazione telematica a quella cartacea.

E’ opportuno da un altro lato rilevare come la giurisprudenza si sia pronunciata in maniera differente per quanto riguarda gli account aziendali di posta elettronica di dipendenti di impresa. In queste pronunce il giudice si è espresso ritenendo legittimo il controllo della corrispondenza effettuato da parte del datore di lavoro. In tal senso la casella di posta elettronica è stata considerata uno strumento di lavoro e come tale sottoposta alla verifica da parte del datore di lavoro. Il provvedimento prevede la deroga ai principi di libertà e segretezza della corrispondenza in quanto l’accesso da parte di terzi alla casella elettronica in uso al lavoratore non costituisce di per sé violazione alla sfera privata di quest’ultimo.




Si palesa, proprio per l’assenza di una regolamentazione e per la possibile incerta soluzione da parte del giudice chiamato a decidere la controversia, l’opportunità di una regolamentazione di tali problematiche all’interno dei contratti con i provider o anche in un testamento. E’ indubbio che specifiche clausole contrattuali che regolino i rapporti tra gestore dei servizi di posta elettronica e utilizzatore degli stessi.

Le società che gestiscono il provider consigliano di fare testamento per decidere il destino relativo al contenuto della posta elettronica. Infatti in assenza di una previsione mortis causa è discusso se l’erede legittimo possa accedere al contenuto della mail.

Si da atto come nascano sempre più nel modo virtuale siti dediti alla gestione dei nostri cosidetti “Digital Assets“. Alcuni siti offrono servizi equiparabili a pompe funebri digitali. Uno fra i più famosi è sicuramente www.legacylocker.com.
Inoltre il sito Enrustet consente diselezionare i contenuti digitali presenti in Rete da inviare ai propri cari e altri invece da cancellare. Il Deathswitch, in caso di decesso, invia ai parenti e ai colleghi un elenco dettagliato dei siti, dei social media e delle password. Deatswitch verifica regolarmente l'esistenza in vita dei suoi utenti con l'invio di email. Un libro, "Your Digital Afterlife", spiega come affrontare nei singoli dettagli l'ultimo passo nel cyberspazio, da Gmail a Yahoo! a Facebook. Un testo da leggere prima di scrivere le ultime volontà.

martedì 15 marzo 2011

LE DONAZIONI INDIRETTE E L'AZIONE DI RIDUZIONE

DONAZIONE INDIRETTA.  
Cass. civ.,sez. I, 12 maggio 2010, n. 11496. 

Nell’ipotesi di donazione indiretta di un immobile, realizzata mediante l’acquisto del bene 
con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente 
medesimo intenda in tal modo beneficiare, la compravendita costituisce lo strumento 
formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del 
destinatario, che ha quindi ad oggetto il bene e non già il denaro. Tuttavia, alla riduzione di 
siffatta liberalità indiretta non si applica il principio della quota legittima in natura 
(connaturata all’azione nell’ipotesi di donazione ordinaria di immobile ex art. 560 c.c.), 
poiché l’azione non mette in discussione la titolarità dei beni donati e l’acquisizione riguarda 
il loro controvalore, mediante il metodo dell’imputazione; pertanto mancando il 
meccanismo di recupero reale della titolarità del bene, il valore dell’investimento finanziato 
con la donazione indiretta dev’essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche 
del diritto di credito, con la conseguenza che, nell’ipotesi di fallimento del beneficiario, la 
domanda è sottoposta al rito concorsuale dell’accertamento del passivo ex art. 52 e 93 l. fall. 

COMMENTO:

Il problema che a lungo ha tormentato la dottrina è stato quello di individuare con certezza quale fosse l’oggetto delle donazioni indirette: il denaro fornito dai genitori o l’immobile acquistato utilizzando lo stesso?

In tema di Collazione e azione revocatoria DI DONAZIONI DIRETTE ed indirette, la Cassazione a Sezioni Unite n. 9282/1992 ha sostenuto che oggetto della collazione e dell’azione revocatoria è l’immobile, tutte le volte in cui il denaro donato costituisce il mezzo per l’acquisto del bene stesso. La ratio di tale sentenza viene ricondotta al principio di par condicio degli eredi onde evitare disparità in caso di collazione del denaro a fronte dell’acquisto del bene immobile.

Cosa è oggetto della azione di riduzione e di restituzione ?

Si discute se il principio di cui alla cassazione a sezione unite del 1992 debba essere applicato anche nella disciplina della azione di riduzione avente ad oggetto donazioni indirette, ponendo in pericolo le situazioni giuridiche soggettive dei terzi aventi causa.

L’azione di riduzione è una azione personale diretta a far valere l’inefficacia del negozio lesivo della legittima. Conseguentemente la titolarità del bene rientra ex tunc nel patrimonio del donante. Da ciò si giustifica l’azione di restituzione contro i terzi. 

L'intestazione di beni altrui sono quegli atti di liberalità indiretta (art 809 c.c.) con il quale il donante con l’accordo del donatario intende far conseguire a questi gratuitamente in via diretta la proprietà di un bene, senza che il bene transiti nel patrimonio del donante anche per un solo istante.

1)   il donante fornisce preventivamente il danaro al donatario che paga il prezzo; (Attenzione: è una donazione diretta rispetto della forma solenne, se di modico valore è sufficiente la traditio ex art 783 c.c. );
2)   il donante interviene direttamente in atto e paga il prezzo, adempimento del prezzo o accollo. (Attenzione : è una donazione indiretta non ci vuole la forma solenne);
3)   il donante stipula un contratto in nome e per conto del donatario pagando con denaro proprio:
4)   contratto per persona da nominare;
5)   contratto a favore del terzo



Il disagio si ha perché nell’ipotesi di intestazione di bene in nome altrui, il donatario (Figlio) non è un avente causa dal donante (padre) bensì dal venditore in quanto il donante (padre) pagando il prezzo al terzo rinuncia al credito avente ad oggetto la restituzione della somma nei confronti del figlio. Ciò che esce effettivamente dal suo patrimonio è il solo credito alla restituzione.

Se si ammettesse l’azione di riduzione e di restituzione del contratto di donazione indiretta avente ad oggetto l’immobile, qualora il figlio vada a vendere il bene così acquistato ad un terzo questo terzo potrebbe correre il rischio di una azione di restituzione ex 563 c.c. senza aver avuto conoscenza della liberalità indiretta.

Es. Tizio acquista il bene dal donatario, figlio, senza essere a conoscenza che l’atto di provenienza era una liberalità indiretta. In particolare tale problema si verificava prima della legge Bersani quando le modalità di pagamento del prezzo non venivano indicate in atto.


Come si potrebbe tutelare il potenziale terzo acquirente???

Una azione nei confronti del negozio di vendita comporterebbe eccessivi rischi.
Il terzo di buona fede, sub acquirente del donatario, più che verificare la continuità della trascrizione, che la provenienza del bene acquistato non sia donativa o successoria e l’assenza di domande giudiziale di impugnative negoziali o vizi di nullità, null’altro può fare. Nel caso in cui la provenienza sia donativa o successoria il terzo può verificare l’esistenza o meno di domanda di riduzione ex art 2652 n 8 c.c. che potrebbe far vacillare il tuo titolo di acquisto essendo legalmente avvertito di tale circostanza. Conseguentemente nel caso di liberalità indiretta il terzo non è a conoscenza della liberalità indiretta.

Se il donatario ha acquistato direttamente dal venditore ma dall’atto trascritto non risulti la circostanza che il danaro è stato fornito dal donante per spirito di liberalità l’eventuale successo del legittimario a seguito dell’azione di riduzione non potrà consentire l’esperimento dell’azione di restituzione verso i terzi a titolo oneroso ed in buona fede.

In tal senso sussiste un conflitto tra la tutela del legittimario e la tutela dell’affidamento del terzo.


L’atto negoziale lesivo della quota di legittima non può essere individuato nella compravendita. L’eventuale azione di riduzione non può colpire il titolo di acquisto del donatario. In tal senso oggetto dell’azione di riduzione dovrà avere ad oggetto la somma di denaro che il padre ha concretamente utilizzato per l’acquisto del bene.
L’azione pertanto colpirà non l’atto negoziale di vendita ma l’adempimento del terzo e l’assunzione del debito altrui comportandone l’inefficacia nei confronti del figlio donatario verso il quale gli eredi potranno agire per la restituzione del credito.

Il diritto del legittimario leso perde la natura reale ed si traduce in un diritto di credito. Il legittimario può si esperire l’azione di riduzione ma non può pretendere l’azione di restituzione del bene verso il terzo.

L’azione di riduzione nelle donazioni indirette incide sulla causa del negozio fine (liberalità) e non sul negozio mezzo (atto di acquisto).


La cassazione del 2010 conferma il principio delle sezioni unite del 1992 secondo cui  nelle ipotesi di intestazione del bene in nome altrui oggetto della donazione indiretta è il bene, tuttavia esclude l’esperibilità dell’azione di restituzione reale del bene nei confronti del terzo avente causa, maturando il legittimario leso il solo diritto di credito.