giovedì 29 dicembre 2011

ITALIA-PROGRAMMI.NET E SOLLECITI DI PAGAMENTO IL PROVVEDIMENTO DELL'ANTITRUST


Il sito Italia-programmi.net è sotto accusa da parte della Agenzia Garante Antitrust per aver posto in essere una condotta commerciale illecita e dannosa per i consumatori.
 
La procedura di accertamento, introdotta dalla autorità competente, ha avuto inizio in seguito alle segnalazioni dei consumatori sull’illecita condotta della "Estesa Limited" (società con sede nella Repubblica delle Seychelles). I consumatori erano indotti, a loro insaputa, a sottoscrivere un abbonamento biennale, per un importo anticipato di 96 euro l'anno a fronte di download gratuiti di software e applicazioni di largo uso per personal computer.
 
Il 25 agosto 2011, con comunicazione di avvio del procedimento e contestuale richiesta di informazioni e sospensione provvisoria, l'Antitrust ha intimato alla società Estesa Limited di "sospendere ogni attività diretta a pubblicizzare su Google Adwords o su altri strumenti di pubblicità online, in via diretta o indirettamente tramite siti ponte, la fruizione gratuita di software scaricabili dal sitowww.italia-programmi.net". 

La società dovrà chiarire sul suo sito che si tratta di un servizio a pagamento. Dovrà inoltre sospendere ogni attività di sollecito del pagamento del presunto abbonamento annuale nei confronti di quei consumatori che hanno comunicato di non averlo mai sottoscritto poichè inconsapevoli della natura onerosa del servizio offerto.
 
In particolare, si contesta l’ingannevolezza del sito: "I consumatori, attraverso la grafica del sito e le modalità di ricerca con cui arrivano sullo stesso, sarebbero stati indotti a ritenere, contrariamente al vero, che la fruizione dei software avvenga senza spese. Ciò in quanto i soggetti interessati da una ricerca di software gratuiti, arriverebbero ad una pagina del sito italia-progammi.net nella quale l'indicazione della reale natura del servizio - un abbonamento a titolo oneroso per 24 mesi - sarebbe riportata con evidenza grafica poco percettibile".

Anche le condotte di Estesa Ltd di sollecito sono state ritenute aggressive: "prefigurando al consumatore ingenti oneri aggiuntivi - anche connesse ad azioni legali - non previamente quantificati, né quantificabili, con il chiaro intento di indurlo ad un tempestivo pagamento della somma richiesta" e la condotta di "ostacolo all'esercizio del diritto di recessoesercitato nei tempi e nei modi previsti dalle condizioni contrattuali presenti sul sito www.italia-programmi.net, ivi inclusa la diffusione di informazioni non veritiere ai consumatori circa una asserita collaborazione del professionista con l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato".
 
Nell’attesa della definitiva risoluzione della procedura di infrazione si da atto che molti consumatori continuano a ricevere sollicitazioni illegittime da parte di tale sito.

Per qualsiasi chiarimento o consulenza al fine di rispondere alla sollecitazione eventualemtne ricevuta rivolgetevi all’indirizzo mail: chiara.consani@virgilio.it


mercoledì 21 dicembre 2011

DISPOSIZIONI IN MATERIA DI COMPOSIZIONE DELLE CRISI DA SOVRAINDEBITAMENTO


Con il DL approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 16 dicembre scorso, tuttora in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, è stata introdotta nell’ordinamento una procedura di composizione della crisi destinata ai soggetti diversi dagli imprenditori fallibili.

Il testo della nuova disciplina in materia della composizione delle crisi da sovraindebitamento
Art. 1.
(Finalità e definizioni)
1. Al fine di porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento, il debitore può concludere un accordo con i creditori secondo la procedura di composizione della crisi disciplinata dagli articoli da 2 a 12.
2. Ai fini del presente decreto si intende per:
a) sovraindebitamento: una situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio liquidabile per farvi fronte, nonché la definitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni;
b) sovraindebitamento del consumatore: il sovraindebitamento dovuto esclusivamente all’inadempimento di obbligazioni contratte dal consumatore, come definito dal codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005 n. 206.
 Art. 2.
(Presupposti di ammissibilità)
1. Il debitore in stato di sovraindebitamento può proporre ai creditori, con l’ausilio degli organismi di composizione della crisi di cui alI’ articolo lO con sede nel circondario del tribunale competente ai sensi dell’articolo 4, comma l, un accordo di ristrutturazione dei debiti sulla base di un piano che assicuri il regolare pagamento dei creditori estranei all’accordo stesso, compreso l’integrale pagamento dei titolari dei crediti privilegiati ai quali gli stessi non abbiano rinunciato anche parzialmente, salvo quanto previsto dall’articolo 3, comma 4. Il piano prevede i termini e le modalità di pagamento dei creditori, anche se suddivisi in classi, le eventuali garanzie rilasciate per l’adempimento dei debiti, le modalità per l’eventuale liquidazione dei beni. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 8, conuna 1, il piano può prevedere l’affidamento del patrimonio del debitore a un fiduciario per la liquidazione, la custodia e la distribuzione del ricavato ai creditori.
2. La proposta è ammissibile quando il debitore:
 a) non è assoggettabile alle vigenti procedure concorsuali;
 b) non ha fatto ricorso, nei precedenti tre anni, alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento.
Art. 3.
(Contenuto dell’accordo)
1. La proposta di accordo prevede la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei crediti futuri.
2. Nei casi in cui i beni o i redditi del debitore non siano sufficienti a garantire la fattibilità del piano, la proposta deve essere sottoscritta da uno o più terzi che consentono il conferimento, anche in garanzia, di redditi o beni sufficienti per l’attuabilità dell’accordo.
3. Nella proposta di accordo sono indicate eventuali limitazioni all’accesso al mercato del credito al consumo, all’utilizzo degli strumenti di pagamento elettronico a credito e alla sottoscrizione di strumenti creditizi e finanziari.
4. Il piano può prevedere una moratoria fino ad un anno per il pagamento dei creditori estranei quando ricorrono cumulativamente le seguenti condizioni:
a) il piano risulti idoneo ad assicurare il pagamento alla scadenza del nuovo termine;
b) la moratoria non riguardi il pagamento dei titolari di crediti impignorabili.
 Art. 4.
(Deposito della proposta di accordo)
1. La proposta di accordo è depositata presso il tribunale del luogo ove il debitore ha la residenza ovvero la sede principale.
2. Il debitore, unitamente alla proposta, deposita l’elenco di tutti i creditori, con l’indicazione delle somme dovute, dei beni e degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni, corredati delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni e dell’ attestazione sulla fattibilità del piano, nonché l’elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento suo e della sua famiglia, previa indicazione della composizione del nucleo familiare corredata del certificato dello stato di famiglia.
3. Il debitore che svolge attività d’impresa deposita altresì le scritture contabili degli ultimi tre esercizi, ovvero, in sostituzione delle scritture contabili e per periodi corrispondenti, gli estratti conto bancari tenuti ai sensi dell’articolo 14, comma lO, della legge 14 novembre 2011, n. 183, unitamente a una dichiarazione che ne attesti la conformità all’ originale.
Art. 5.
(Procedimento)
l. Il giudice, se la proposta soddisfa i requisiti previsti dagli articoli 2 e 4, fissa con decreto l’udienza, disponendo la comunicazione ai creditori presso la residenza o la sede legale, anche pertelegramma o per lettera raccomandata con avviso di ricevimento o per telefax o per posta elettronica certificata, della proposta e del decreto contenente l’avvertimento dei provvedimenti che egli può adottare ai sensi del comma 3 del presente articolo.
2. Con il decreto di cui al comma l, il giudice dispone idonea forma di pubblicità della proposta e del decreto, nonché, nel caso in cui il proponente svolga attività d’impresa, la pubblicazione degli stessi in apposita sezione del registro delle imprese.
3. All’udienza il giudice, in assenza di iniziative o atti in frode ai creditori, dispone che, per non oltre centoventi giorni, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali né disposti sequestri conservativi né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore. La sospensione non opera nei confronti dei titolari di crediti impignorabili.
4. Durante il periodo previsto dal comma 3, le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano.
5. Le procedure esecutive individuali possono essere sospese ai sensi del comma 3 per una sola volta, anche in caso di successive proposte di accordo.
6. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile, ma il tribunale provvede in composizione monocratica. Il reclamo si propone al tribunale e del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento.
Art. 6.
(Raggiungimento dell’accordo)
1. I creditori fanno pervenire, anche per telegramma o per lettera raccomandata con avviso di ricevimento o per telefax o per posta elettronica certificata, all’organismo di composizione della crisi, dichiarazione sottoscritta del proprio consenso alla proposta, come eventualmente modificata.
2. Ai fini dell’omologazione di cui all’articolo 7, è necessario che l’accordo sia raggiunto con i creditori che rappresentano almeno il settanta per cento dei crediti. Nei casi di sovraindebitamento del consumatore ai fini dell’omologazione è sufficiente che l’accordo sia raggiunto con i creditori che rappresentano almeno il cinquanta per cento dei crediti.
3. L’accordo non pregiudica i diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore e obbligati in via di regresso.
4. L’accordo non determina la novazione delle obbligazioni, salvo che sia diversamente stabilito.
5. L’accordo è revocato di diritto se il debitore non esegue integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle Agenzie fiscali e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie.
Art. 7.
(Omologazione dell’accordo)
1. Se l’accordo è raggiunto, l’organismo di composizione della crisi trasmette ai creditori una relazione sui consensi espressi e sul raggiungimento della percentuale di cui all’articolo 6, comma 2, allegando il testo dell’accordo stesso. Nei dieci giorni successivi al ricevimento della relazione, i creditori possono sollevare contestazioni. Decorso tale termine, l’organismo di composizione della crisi trasmette al giudice la relazione, allegando le contestazioni ricevute, nonché un’attestazione definitiva sulla fattibilità del piano.
2. Verificato il raggiungimento dell’accordo con la percentuale di cui all’articolo 6, comma 2, verificata l’idoneità ad assicurare il pagamento dei creditori estranei e risolta ogni altra contestazione, il giudice omologa l’accordo e ne dispone la pubblicazione utilizzando tutte le forme di cui all’articolo 5, con1ma 2. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile, ma il tribunale provvede in composizione monocratica. Il reclamo, anche avverso il provvedimento di diniego, si propone al tribunale e del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento.
3. Dalla data di omologazione ai sensi del comma 2 e per un periodo non superiore a un anno, l’accordo produce gli effetti di cui all’articolo 5, comma 3.
4. Gli effetti di cui al comma 3 vengono meno in caso di risoluzione dell’accordo o di mancato pagamento dei creditori estranei. L’accertamento del mancato pagamento dei creditori estranei è chiesto al giudice con ricorso. Si procede ai sensi degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile.
5. La sentenza di fallimento pronunciata a carico del debitore risolve l’accordo.
Art. 8.
(Esecuzione dell ‘accordo)
1. Se per la soddisfazione dei crediti sono utilizzati beni sottoposti a pignoran1ento ovvero se previsto dall’accordo, il giudice nomina un liquidatore che dispone in via esclusiva degli stessi e delle somme incassate.
2. L’organismo di composizione della crisi risolve le difficoltà insorte nell’ esecuzione dell’accordo e vigila sull’esatto adempimento dello stesso, comunicando ai creditori ogni eventuale irregolarità. Sulle contestazioni che hanno ad oggetto la violazione di diritti e sulla sostituzione del liquidatore per giustificati motivi decide il giudice investito della procedura.
3. Il giudice, sentito il liquidatore e verificata la conformità dell’atto dispositivo all’accordo e al piano, anche con riferimento alla possibilità di pagamento dei creditori estranei, autorizza lo svincolo delle somme e ordina la cancellazione della trascrizione del pignoramento, delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché di ogni altro vincolo.
4. I pagamenti e gli atti dispositivi dei beni posti in essere in violazione dell’accordo e del piano sono nulli.
Art. 9.
(Impugnazione e risoluzione dell ‘accordo)
1. L’accordo può essere annullato dal tribunale su istanza di ogni creditore, in contraddittorio con il debitore, quando è stato dolosamente aumentato o diminuito il passivo, ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’ attivo ovvero dolosamente simulate attività inesistenti. Non è ammessa alcuna altra azione di annullamento.
2. Se il proponente non adempie regolarmente alle obbligazioni derivanti dall’accordo, se le garanzie promesse non vengono costituite o se l’esecuzione dell’accordo diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore, ciascun creditore può chiedere al tribunale la risoluzione dello stesso.
3. Il ricorso per la risoluzione è proposto, a pena di decadenza rilevabile d’ufficio, entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempin1ento previsto dall’accordo.
4. L’annullamento e la risoluzione dell’accordo non pregiudicano i diritti acquistati dai terzi in buona fede.
5. Nei casi previsti dai commi 1 e 2, si applicano, in quanto con1patibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile, ma il tribunale provvede in con1posizione monocratica.
Art. 10.
(Organismi di composizione della crisi)
1. Gli enti pubblici possono costituire organismi per la composizione delle crisi da sovraindebitamento con adeguate garanzie di indipendenza e professionalità.
 2. Gli organismi di cui al comma 1 sono iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia.
 3. Il Ministro della giustizia determina i requisiti, i criteri e le modalità di iscrizione nel registro di cui al comma 2, con regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Con lo stesso decreto sono disciplinate la formazione dell’elenco e la sua revisione, l’iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, nonché la determinazione delle indennità spettanti agli organismi di cui al comma 4, a carico dei soggetti che ricorrono alla procedura. Nel caso di sovraindebitamento del consumatore le stesse indennità sono ridotte della metà.
4. Gli organismi di mediazione costituiti presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, il segretariato sociale costituito ai sensi dell’articolo 22, comma 4, lettera a), della legge 8 novembre 2000, n. 328, gli ordini professionali degli avvocati, dei commercialisti ed esperti contabili e dei notai sono iscritti di diritto, a semplice domanda, nel registro di cui al comma 2.
5. Dalla costituzione degli organismi indicati al comma 1 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, e le attività degli stessi devono essere svolte nell’ ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
6. L’organismo di composizione della crisi, oltre a quanto previsto dagli articoli 6, 7 e 8, assume ogni iniziativa funzionale alla predisposizione del piano di ristrutturazione, al raggiungimento dell’accordo, e all’esecuzione dello stesso.
7. Lo stesso organismo verifica la veridicità dei dati contenuti nella proposta e nei documenti allegati, attesta la fattibilità del piano ai sensi dell’articolo 4, comma 2, e trasmeette al giudice la relazione sui consensi espressi e sulla maggioranza raggiunta ai sensi dell’ articolo 7, comma 1.
8. L’organismo esegue la pubblicità della proposta e delI’ accordo, ed effettua le comunicazioni disposte dal giudice nell’ambito del procedimento previsto dagli articoli 5, 6 e 7.
 Art. 11.
(Accesso alle banche dati pubbliche)
l. Per lo svolgimento dei compiti e delle attività previsti dal presente decreto, il giudice e, previa autorizzazione di quest’ultimo, gli organismi di cui all’articolo 10 possono accedere ai dati contenuti nell’anagrafe tributaria, nei sistemi di informazioni creditizie, nelle centrali rischi e nelle altre banche dati pubbliche, nel rispetto delle disposizioni contenute nel codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
2. I dati personali acquisiti per le finalità di cui al comma l possono essere trattati e conservati per i soli fini e tempi della procedura e devono essere distrutti contestualmente alla sua conclusione o cessazione. Dell’avvenuta distruzione è data comunicazione al titolare dei suddetti dati, tramite lettera raccomandata con avviso di ricevimento o tramite posta elettronica certificata, non oltre quindici giorni dalla distruzione medesima.
Art. 12.
(Disposizioni transitorie)
1. I compiti e le funzioni attribuiti agli organismi di composizione della crisi possono essere svolti anche da un professionista o da una società tra professionisti in possesso dei requisiti di cui all’articolo 28 del regio decreto 16 Inarzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, ovvero da un notaio, nominati dal presidente del tribunale o dal giudice da lui delegato. Con decreto del Ministro della giustizia sono stabilite, in considerazione del valore della procedura, le tariffe applicabili all’attività svolta dai professionisti, da porre a carico dei soggetti che ricorrono alla procedura. Nel caso di sovraindebitamento del consumatore le stesse indennità sono ridotte della metà.

COMMENTO:

Il nuovo strumento della composizione della crisi da sovraindebitamento permette ai soggetti privati (consumatori) ed ai piccoli imprenditori  non rientranti nella disciplina fallimentare, di predisporre una accordo di adempimento delle obbligazioni senza che il nuovo strumento abbia valenza concorsuale né, quindi, alcuna efficacia obbligatoria nei confronti dei soggetti che non partecipino all’accordo.
I dubbi maggiori della nuova normativa riguardano proprio l’effettiva possibilità di esdebitazione, dato che il meccanismo utilizzato non prevede effetti remissori nei confronti dei soggetti estranei all’accordo.
Il debitore che voglia accedere al nuovo istituto dovrà depositare presso il tribunale competente una proposta di accordo che preveda la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, sulla base di un piano che assicuri il regolare pagamento dei creditori estranei all’accordo. Per questi ultimi è possibile, peraltro, prevedere una moratoria fino ad un anno, purché il piano assicuri il loro pagamento alla scadenza. Il piano, inoltre, potrà prevedere anche l’affidamento a un fiduciario del patrimonio del debitore per la sua custodia e liquidazione e per la distribuzione del ricavato ai creditori.
Oltre alla proposta di accordo, il debitore dovrà depositare l’elenco dettagliato dei propri debiti, una descrizione del suo patrimonio e l’elenco degli atti di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni, unitamente alle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni. Il piano dovrà essere attestato e corredato dall’elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento suo e della sua famiglia. Il piccolo imprenditore dovrà produrre anche le scritture contabili dell’ultimo triennio.
Potrebbe altresì essere necessario l’intervento di soggetti terzi che possano garantire, con il loro patrimonio, l’adempimento delle obbligazioni derivanti dall’accordo, nonché il pagamento di tutti i creditori estranei.
Per l’omologazione dell’accordo, è necessaria l’adesione di almeno il 70% dei creditori; il quorum si riduce al 50% qualora il debitore sia qualificabile come consumatore. Nella fase delle trattative il tribunale, valutata la serietà della proposta del debitore, può disporre in via cautelare la protezione del suo patrimonio da azioni esecutive, sequestri conservativi o iscrizioni ipotecarie per un periodo massimo di 120 giorni.
Nell’ambito di questa nuova procedura appare determinante il ruolo degli organismi di composizione della crisi, che dovranno essere iscritti in un apposito Registro tenuto presso il Ministero della Giustizia. Questa figura è l’elemento centrale dell’istituto, dovendo affiancare il debitore nella predisposizione e attestazione del piano di ristrutturazione, raccogliere le adesioni dei creditori e persino risolvere le difficoltà nell’esecuzione dell’accordo, vigilando sul suo adempimento e segnalando ai creditori eventuali irregolarità. 

martedì 8 novembre 2011

LA PRELAZIONE COMMERCIALE:


Con l’espressione “prelazione urbana commerciale” s’identifica la prelazione collegata al rapporto di locazione avente per oggetto una costruzione urbana ad uso commerciale, previsto da un lato dall’art. 38 della legge 27 luglio 1978, n. 392.
La ratio di tale prelazione legale è quella di favorire la tutela dell’avviamento commerciale, come clientela ed agevolare, nel contempo, il modo d'essere di una determinata zona attraverso il mantenimento degli esistenti punti di vendita.

Pertanto, quando il proprietario del bene immobile locato ad uso commerciale intende procedere alla vendita del proprio fondo, ai sensi di legge, è tenuto a comunicare al conduttore (per mezzo della denunciatio) tale sua intenzione permettendogli così di esercitare il proprio diritto di prelazione.
L’art. 38, primo comma della legge 392 del 1978 dispone che la comunicazione del locatore al conduttore va data con atto notificato a mezzo ufficiale giudiziario, nella comunicazione devono essere indicati:
a) il corrispettivo;
b) le altre condizioni concernenti la compravendita;
c) l’invito ad esercitare la prelazione.

LA NATURA DELLA COMUNICAZIONE (DENUNCIATIO) E LA GIURISPRUDENZA:
Le Sezioni Unite della Cassazione sono intervenute per risolvere i compositi contrasti interpretativi insorti in ordine alla natura della denuntiatio (che il locatore intenzionato ad alienare l’immobile deve comunicare al conduttore, ex 1° comma dell’art. 38) e degli effetti immediati che da un lato la stessa denuntiatio e, dall’altro, l’esercizio della prelazione, producono (v. sent. 4 dicembre 1989 n. 5359, Foro it., 1990, I, 1563).

Le Sezioni unite hanno enunciato i seguenti principi:

a) La denuntiatio prevista dall’art. 38, 1° comma, l. 392/78 a carico del locatore che intenda trasferire a titolo oneroso l’immobile locato ad uso diverso dall’abitazione, non costituisce una proposta contrattuale di vendita rivolta al conduttore, e neppure mera informativa di generici intenti destinata ad avviare trattative tra le parti, ma è un atto dovuto di interpello, vincolato nella forma (ma v., nel senso che costituisce valido equipollente della notifica a mezzo di ufficiale giudiziario la consegna a mezzo di lettera raccomandata, Cass. 12689/91, Foro it., 1992, I, 2451) e nel contenuto, diretto a mettere il conduttore in condizione di esercitare il diritto di prelazione, sempre che di tale diritto esistano i presupposti (altrimenti sia la denuntiatio sia l’esercizio della prelazione rimangono privi di effetto ai fini dell’art. 38: cfr., con riferimento al caso in cui debba escludersi la titolarità del diritto di prelazione in capo al soggetto che ha ricevuto la denuntiatio, Cass. 1661/90, Foro it., 1991, I, 569, e Cass. 1909/91, Nuova giur. civ., 1992, I, 20);

b) che l’esercizio della prelazione da parte dell’avente diritto non costituisce, quindi, accettazione di una proposta contrattuale, né comunque produce l’immediato trasferimento della proprietà dell’immobile locato, ma comporta il sorgere, per entrambe le parti, dell’obbligo legale di addivenire, entro un preciso termine (art. 38, 4° comma), alla conclusione del previsto contratto (definitivo o preliminare) di compravendita, con contestuale pagamento del prezzo da parte del conduttore prelazionante;

c) che il locatore, una volta comunicata la denuntatio di cui all’art. 38, 1° comma, rimane vincolato fino al termine dalla legge concesso al conduttore per l’esercizio della prelazione, in attesa della determinazione dell’avente diritto, e non può quindi revocare la denuntiatio né in pendenza del termine suddetto, né – a maggior ragione – dopo che il conduttore abbia esercitato il diritto di prelazione;

d) che, esercitata la prelazione ai sensi dell’art. 38, 3° comma, il locatore alienante ed il conduttore prelazionante, sono reciprocamente tenuti ex lege alla stipulazione del contratto (preliminare o definitivo) di vendita, possono avvalersi della esecuzione in forma specifica contemplata dall’art. 2932 cod. civ., ove ne ricorrano tutte le condizioni.


L’ESERCIZIO DEL DIRITTO DI PRELAZIONE:
L’art. 38 della legge n. 392 del 1978 dispone che il conduttore deve esercitare il diritto di prelazione entro il termine di sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione, con atto notificato al proprietario a mezzo di ufficiale giudiziario o mediante forme equipollenti, offrendo condizioni uguali a quelle comunicategli.
Quando il diritto di prelazione sia esercitato, il versamento del prezzo di acquisto, salvo diversa condizione indicata nella comunicazione del locatore, deve essere effettuato entro il termine di trenta giorni decorrenti dal sessantesimo giorno successivo a quello dell’avvenuta notificazione della comunicazione da parte del proprietario, contestualmente alla stipulazione del contratto di compravendita o del contratto preliminare.
Pertanto il contratto di vendita tra le parti dovrà avvenire proprio entro tale termine (30 giorni decorsi i 60 giorni dalla denunciatio).

LA TUTELA DEL DIRITTO DI PRELAZIONE:
Il retratto o riscatto è il rimedio tipico previsto per l’ipotesi di violazione della prelazione.
Il diritto di riscatto è il diritto del conduttore di subentrare al terzo acquirente del bene immobile in caso di mancata osservanza delle norme sulla prelazione.
Queste le caratteristiche:
a) è un diritto potestativo del retraente;
b) si estrinseca in una dichiarazione unilaterale recettizia.

Il retratto si ha in tutte le seguenti ipotesi:
a) omessa comunicazione dell'intento di alienare;
b) vendita a condizioni diverse;
c) vendita a terzi dell'immobile locato nonostante l'esercizio del diritto di prelazione da parte del conduttore;
d) nel caso in cui la stipulazione dell'atto di vendita con il terzo sia stata effettuata in data successiva e diversa da quella indicata nella "denuntiatio";

L'esercizio del diritto di riscatto ha come effetto, la sostituzione "ex tunc" ( effetto retroattivo) del conduttore al terzo nella stessa posizione che questi aveva nel negozio concluso, sulla base della propria dichiarazione unilaterale recettizia.
La dichiarazione va presentata nel termine legale di decadenza di sei mesi, che decorre dalla data della trascrizione dell’atto di vendita in favore del terzo.
Detta dichiarazione va espressa o con atto stragiudiziale, oppure mediante atto di citazione a giudizio.

Per qualsiasi consulenza in merito all’esercizio del diritto di prelazione non esitare a chiedere una consulenza, contattandomi via e-mail.








lunedì 7 novembre 2011

REVOCA DELLA DONAZIONE PER INGRATITUDINE


Ai sensi dell’art. 801 c.c. la donazione può essere revocata per ingratitudine soltanto in quattro distinte ipotesi e cioè quando il donatario:

1)    abbia commesso uno dei gravi delitti indicati ai n.1, 2 e 3 dell’art. 463 c.c., ipotesi di indegnità a succedere, omicidio o tentato omicidio dell'ereditando (donante) o del di lui coniuge, di un discendente o un ascendente (sempre che non ricorra il caso fortuito o la forza maggiore o una delle cause che escludono la punibilità); un fatto al quale la legge dichiara applicabili le disposizioni sull'omicidio; l'aver denunziato calunniosamente una delle dette persone per reato punibile con l'ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni;
2)    abbia arrecato grave pregiudizio al patrimonio del donante con la propria condotta dolosa;
3)    abbia omesso di prestare allo stesso gli alimenti, qualora ne sussistano i presupposti di fatto;
4)    si sia reso colpevole di ingiuria grave nei confronti di quest’ultimo;

La revoca della donazione per ingratitudine costituisce una delle tassative cause di scioglimento del contratto di donazione «ammesse dalla legge», così come previsto genericamente dall’articolo 1372 c.c.
Eccezionalmente, il legislatore considera giuridicamente rilevanti, dopo la stipulazione della donazione, determinati fatti che, se esistiti prima della donazione, avrebbero chiaramente influito sulla volontà del donante, facendolo quindi desistere dal donare o, comunque, determinandolo a decidere diversamente.

Sorge allora un diritto potestativo, ad esercizio giudiziale, verificandosi tali elementi in capo al donante, con possibilità di scegliere se mantenere in vita oppure revocare la donazione ottenendone pertanto la cessazione degli effetti.
La domanda giudiziale di revoca della donazione per ingratitudine non può essere introdotta se è trascorso un anno dal momento in cui si è presa conoscenza del fatto integrante la fattispecie d'ingratitudine.


La giurisprudenza di legittimità ravvisa quale presupposto della revocazione il comportamento del donatario, successivo alla donazione, con il quale si rechi all'onore ed al decoro del donante un'offesa suscettibile di ledere gravemente il patrimonio morale della persona. In tale condotta si rileva un sentimento di avversione che manifesta tale ingratitudine verso colui che ha beneficato l'agente, tale da ripugnare la coscienza comune.


La Cassazione con la Sentenza del 28 maggio 2008, n. 14093 ha stabilito che costituisce ingiuria grave l'atteggiamento complessivamente adottato, menzognero e irriguardoso verso il marito, all'insaputa del quale la ricorrente si univa con l'amante nell'abitazione coniugale.
Se la moglie tradisce il marito con uno più giovane nello stesso letto, è possibile applicare la revocazione della donazione per ingratitudine. Costituisce ingiuria grave, presupposto della revocazione - non tanto il fatto che la ricorrente, la quale all’età di trentasei anni, già madre di tre figli, aveva intessuto una relazione con un ventritreenne, protrattasi clandestinamente per vari anni e sfociata nell’abbandono della famiglia per convivere con il nuovo compagno, quanto l’atteggiamento complessivamente adottato, menzognero e irriguardoso verso il marito, all’insaputa del quale la ricorrente si univa con l’amante nell’abitazione coniugale.


Recentemente la Cassazione, chiamata nuovamente a decidere un nuovo caso di revoca della donazione per ingratitudine, con la sentenza 22936/2011 ha condiviso il giudizio della Corte di appello di Roma, che aveva identificato l'ingratitudine della donna - alla base della revocazione della donazione - proprio nel fatto che ella aveva portato avanti negli anni una relazione adulterina, anche dunque dopo essersi sposata e aver ricevuto abbondanti regali, fino ad abbandonare il marito per l'amante, in un momento in cui egli risultava bisognoso di assistenza. In tal senso è stato determinante l’abbandono nel momento del bisogno.

Diversamente la Cassazione con la sentenza 31 marzo 2011, n. 7487, ha ritenuto che non ricorresse una giusta causa di revoca della donazione per ingratitudine il comportamento della donataria la quale, stante la situazione di conflittualità tra i genitori donanti, chieda ad uno di questi di abbandonare l'abitazione acquistata con il denaro ottenuto dalla liberalità paterna e materna.

Per qualsiasi chiarimento o consulenza in merito alla revoca della donazione per ingratitudine non esitare a contattarmi via e-mail.

martedì 27 settembre 2011

RESPONSABILITA' CIVILE DEL MANEGGIO:




- Cass. civ., sez. III, 9.3.2010, n. 5664
L’attività sportiva consistente nella partecipazione ad una lezione di equitazione da parte di allievi dotati di sufficiente esperienza rientra, ai fini della responsabilità civile, nella fattispecie dell’art. 2052 cod. civ. con applicazione della relativa presunzione; spetta pertanto al gestore dell’animale (utilizzatore o proprietario) che ha causato il danno fornire non solo la prova dell’assenza della propria colpa, ma anche quella che il danno è stato cagionato dal caso fortuito, poiché ciò che rileva è la semplice relazione esistente tra il gestore e l’animale e il nesso di causalità tra il comportamento di questo e il danno (nella specie il gestore è stato ritenuto responsabile del danno causato dal calcio improvviso di un cavallo sferrato mentre il gruppo di allievi, sotto la guida dell’istruttore, procedeva in fila indiana).



- Cass. civ., sez. III, 19.6.2008, n. 16637
Il gestore di maneggio risponde quale esercente di attività pericolosa, ai sensi dell’art. 2050 c.c., dei danni riportati dai soggetti partecipanti alle lezioni di equitazione, qualora gli allievi siano principianti del tutto ignari di ogni regola di equitazione, ovvero giovanissimi; nel caso di allievi più esperti l’attività equestre è soggetta, invece, alla presunzione di responsabilità di cui all’art. 2052 c.c., con la conseguenza che spetta al proprietario o all’utilizzatore dell’animale che ha causato il danno di fornire non soltanto la prova della propria assenza di colpa, ma anche quella che il danno è stato causato da un evento fortuito (nella specie, il gestore è stato ritenuto responsabile dei danni subiti da un’allieva principiante, colpita alla caviglia dallo zoccolo di un cavallo che seguiva immediatamente quello da lei cavalcato, perchè gli istruttori non avevano provveduto alla sostituzione del cavallo che, nel corso dell’esercitazione, aveva già dato segni evidenti di nervosismo).

La Cassazione si è spesso interrogata in proposito e sono interessanti due sentenze fra le altre, per la definizione di responsabilità.
Soggetti responsabili sono, infatti, il proprietario dell'animale, o chi ha in uso l'animale. Utente è colui che trae dall'animale le stesse utilità che trarrebbe il proprietario adoperandolo secondo la sua natura e la sua destinazione economico sociale. In questo senso, quindi, l'allievo di una scuola di equitazione non può essere inteso come utilizzatore dell'animale, in quanto è evidente come non sia lui ma il gestore del maneggio a trarre vantaggio economico dal cavallo.

Inoltre la Suprema Corte, nelle due sentenze, si è anche interrogata sulla possibilità di considerare pericolosa l'equitazione svolta in un maneggio.
Quando l'attività di maneggio viene svolta all'interno del circolo, in presenza di personale qualificato, con cavalli collaudati e adatti all'attività di insegnamento, su un tracciato sicuro e ben conosciuto, non può considerarsi "attività pericolosa". Il gestore risponderà, perciò, per i danni occorsi agli allievi, ex art. 2052, in quanto proprietario, o persona che ha in uso l'animale. Quando, però, si tratta di esercitazioni di principianti, ignari di ogni regola di equitazione, o di allievi giovanissimi la cui inesperienza, e conseguente incapacità di controllo sull'animale, che potrebbe essere imprevedibile nelle sue reazioni se non sottoposto a valido comando, o quando specifiche caratteristiche proprie del caso sono idonee a rendere pericolosa l'attività equestre (ecco che torna la valutazione ex post) lo svolgimento dell'attività imprenditoriale di maneggio diventa pericolosa. In quest'ultima ipotesi il gestore, pertanto, risponderà ex art. 2050 Cod.Civ. dal momento che il cavallo costituisce lo strumento dell'attività pericolosa.


OBBLIGO DI ASSICURAZIONE:
La legge (art. 51 legge n. 289/2002) prevede l’obbligo assicurativo contro gli infortuni degli sportivi dilettanti tesserati in qualità di atleti, dirigenti e tecnici alle Federazioni sportive nazionali, alle Discipline sportive associate e agli Enti di promozione sportiva.

A spiegare meglio la legge, è intervenuto anche un decreto interministeriale del 17-12-2004, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 28-4-2005. Tale decreto chiarisce che il tesseramento deve essere stato fatto in data certa antecedente all’infortunio mediante le modalita previste da ciascuna delle organizzazioni sportive di appartenenza.


LE PASSEGGIATE A CAVALLO:

Il Codice della Strada, all’art. 115 dispone che “Chi guida veicoli o conduce animali deve essere idoneo per requisiti fisici e psichici e aver compiuto: a) anni quattordici per guidare veicoli a trazione animale o condurre animali da tiro, da soma o da sella, ovvero armenti, greggi o altri raggruppamenti di animali.”
Pertanto sotto i 14 anni non è possibile effettuate passeggiate a cavallo esterne al maneggio.


CLAUSOLE DI ESONERO DA RESPONSABILITA’

E’ prassi far sottoscrivere, presso i maneggi o i circoli ippici, prima della partecipazione a lezioni di equitazione o prima delle passeggiate all’esterno, delle dichiarazioni di esonero dalla responsabilità della struttura che gestisce la scuola di equitazione per eventuali danni subiti o arrecati dai cavalieri.

Pur non mancando pareri contrari si ritiene, che tali clausole siano assolutamente nulle, ai sensi dell’art. 1229 Cod. Civ. (“E' nullo qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico). Ciò soprattutto con riguardo ad eventuali danni fisici, stante l’indisponibilità del diritto all’integrità fisica. A parte le considerazioni meramente tecnico-giuridiche, non si può negare che la sottoscrizione delle clausole in parola possa essere letta come il tentativo di legittimare atteggiamenti colposi o di leggerezza degli organizzatori dell’attività equestre, incentivando l’elusione di regole e trasformando una sana attività sportiva, al servizio del benessere psicofisico della persona, in una fonte incontrollata di pericoli.

Di nessun valore saranno soprattutto quelle dichiarazioni sottoscritte per praticare attività all’interno di un maneggio, sotto la guida di personale ed istruttori inseriti nella struttura sportiva, ancor più in considerazione della giovane età degli allievi. E’ inoltre da tenere presente che il recente “Codice del consumo” (D.lgs 6 settembre 2005 n. 206) ha sancito il diritto dei partecipanti alle lezioni di discipline sportive  a ricevere, in quanto “consumatori” un servizio “sicuro” e “garantito” ed ha altresì espressamente sancito (all’art. 36 comma 2 lett. a) la nullità “….delle clausole che (….) abbiano per oggetto o per effetto di escludere o limitare la responsabilità del professionista, in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del professionista”.

Si potrebbe ipotizzare la validità di clausole di esonero dalla responsabilità in caso di attività di equiturismo o trekking a cavallo, esercitata da cavalieri esperti, laddove si ravvisi il carattere di pericolosità oggettiva dell’attività. In tal caso la dichiarazione di ogni partecipante di assumersi la responsabilità dei danni che potrebbe subire o causare potrebbe valere come dichiarazione di accettazione di una particolare e consensuale ripartizione dei rischi.

martedì 6 settembre 2011

COMUNIONE LEGALE O SEPARAZIONE DEI BENI SCEGLI BENE PRIMA DI SPOSARTI!!!!

Prima di sposarsi è bene conoscere le conseguenza patrimoniali connesse al matrimonio.
Questo articolo è pertanto finalizzato a far conoscere ai futuri sposi il regime patrimoniale della famiglia.

LA SCELTA DEL REGIME PATRIMONIALE DELLA FAMIGLIA:
Con la riforma del “diritto di famiglia” avvenuta con la legge n° 151 del 1975, si è stabilito che, in mancanza di una scelta precisa, il regime patrimoniale legale della famiglia che si applica è quello della comunione dei beni. Ciò significa che è possibile dichiarare all’ufficiale dello stato civile o al sacerdote, a seconda che si tratti di un rito civile o religioso, per quale regime patrimoniale si opta. Se non si dichiara nulla, si applica automaticamente il regime della comunione dei beni.
Il regime patrimoniale della famiglia scelto è sempre derogabile dai coniugi in un qualsiasi momento nelle forme di cui all’art 162 c.c.

Il regime LEGALE della comunione dei beni:

Con il regime di comunione legale tutti i beni acquistati dopo la data delle nozze sono di proprietà di entrambi i coniugi in egual misura, anche se sono stati acquistati separatamente. Non vi è possibilità di definire quote diverse di proprietà per specifici beni.
In regime di comunione  cadono anche i debiti i quali sono condivisi in solido dai coniugi.

E’ bene precisare che i beni che sono di proprietà esclusiva di ciascuno dei coniugi prima del matrimonio, sono e rimangono beni di proprietà esclusiva di quella persona anche dopo il matrimonio.

I beni che cadono in comunione legale sono indicati dagli articoli 177 e 178 del Codice Civile. Esempio: se dopo il matrimonio i coniugi acquistano (anche non congiuntamente) una casa, la casa sarà di proprietà di tutti e due nella stessa identica misura.

Anche nell’ipotesi in cui i coniugi scelgano il regime di comunione, ci sono dei beni che, per disposizione legislativa, non entrano nella comunione dei beni, rimanendo beni personali del coniuge pur se acquistati in costanza di matrimonio: ad esempio, i beni provenienti da successione o donazione, i beni che servono per l’esercizio della professione salvo che siano destinati alla conduzione dell’azienda comune, etc.

Un caso peculiare è quello dei beni acquistati con il ricavato della cessione di altri beni personali: se si acquistano, in particolare, beni immobili o beni mobili registrati (come le autovetture), perché questi non cadano in comunione è necessario che, oltre al coniuge acquirente, anche l’altro coniuge partecipi all’atto, nel quale dovrà essere contenuta una dichiarazione riguardante la provenienza del denaro (impiegato per l’acquisto) dall’alienazione di beni personali.


L’AMMINISTRAZIONE DEI BENI IN COMUNIONE LEGALE:
Se si tratta di atti di amministrazione ordinaria, essa spetta disgiuntamente (ossia singolarmente) ad entrambi i coniugi.
Se si tratta di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione (ossia atti di straordinaria amministrazione) essa spetta congiuntamente ad entrambi.
Ciò significa che tali atti devono essere realizzati con la necessaria partecipazione di entrambi i coniugi (e questo al fine di garantire le partecipazioni di entrambi in ordine ad atti importanti, evitando abusi da parte di uno dei due coniugi).
Se vi è un contrasto insanabile tra i coniugi è ammessa la possibilità di ricorrere al giudice per ottenere l’autorizzazione al compimento di tali atti.

LO SCIOGLIMENTO DELLA COMUNIONE LEGALE:
La comunione si scioglie in determinati casi previsti dall’articolo 191 del Codice civile: ad es. quando i coniugi si separano o il matrimonio si scioglie, oppure quando decidono essi stessi di modificare il regime patrimoniale (ad es. se i coniugi vogliono passare dalla comunione alla separazione dei beni, come detto, dovranno farlo con atto pubblico davanti ad un pubblico ufficiale, quale il notaio), oppure quando uno dei coniugi fallisce, etc. In tali casi, lo scioglimento trasforma la comunione legale in comunione ordinaria (di cui poi ogni coniuge potrà chiedere la divisione).

Il regime della separazione dei beni:

Con il regime di Separazione dei beni ciascun coniuge sarà titolare esclusivo del bene da lui acquisito, pur se acquistato durante il matrimonio. Esempio: se dopo il matrimonio il marito acquista una casa, la casa sarà intestata solo a lui e viceversa.

AMMINISTRAZIONE DEI BENI NEL REGIME DELLA SEPARAZIONE LEGALE:
Il coniuge che è proprietario esclusivo del bene è anche colui che ne ha il godimento e l’amministrazione esclusiva.


LA MODIFICA DEL REGIME PATRIMONIALE DELLA FAMIGLIA:
La scelta di modificare il regime patrimoniale della famiglia passando dalla comunione legale alla separazione dei beni e viceversa, può essere effettuata in ogni momento ma tale regime deve essere costituito mediante atto pubblico.


CONCLUSIONI:
E’ opportuno che prima del matrimonio ciascun coniuge si informi bene in ordine alla scelta del regime patrimoniale più opportuno per la propria famiglia.
A seconda della situazione patrimoniale di ciascun soggetto la scelta è tale da incidere notevolmente in ordine al proprio patrimonio.
Per qualsiasi necessità in ordine alla scelta del regime patrimoniale non esitare a contattare il nostro studio.

mercoledì 24 agosto 2011

PERDITA DEI BENEFICI FISCALI PRIMA CASA.


Cass. Civ., Sez. V, n. 13291 del 17 giugno 2011.

“Perde le agevolazioni fiscali sulla prima casa il contribuente che rivende prima dei cinque anni l’immobile per riacquistare una quota insignificante di un altro. Infatti, l’acquisto non dell’intero, ma di una quota dell’immobile, può beninteso integrare il requisito detto, ma solo qualora significativa, di per sé, della concreta disponibilità di disporre del bene sì da poterlo adibire a propria abitazione. Ciascun partecipante alla comunione, infatti, stabilisce l’art. 1102 c.c., può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non ne impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. L’acquisto di una quota particolarmente esigua di un immobile non può comportare da solo il potere di disporre del bene come abitazione propria; esso è, cioè, inidoneo a realizzare l’abitazione che è la finalità perseguita dal legislatore con il riconoscimento dell’aliquota dell’imposta ridotta sugli atti d’acquisto e non vale, pertanto, a realizzare la condizione dell’“acquisto di altro immobile” di cui al comma IV della nota II-bis dell’art. 1 della tariffa, parte prima, del D.P.R. n. 131/1986.”

lunedì 8 agosto 2011

SPESE CONDOMINIALI A CARICO DELL’ACQUIRENTE??

L’articolo 63 delle Disposizioni di Attuazione del Codice Civile, al secondo comma recita: “Chi subentra nei diritti di un condominio è obbligato, solidalmente con questo, al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso ed a quello precedente”.

Il nuovo condomino è obbligato solidalmente con il suo venditore a versare i contributi relativi all’anno in corso ed a quello precedente. Il che significa che, con i limiti di tempo indicati, l’acquirente può essere chiamato dall’amministratore a pagare le spese riguardanti un periodo di tempo in cui non era proprietario.

Egli si sostituisce al venditore nel pagamento, restando però fermo il suo diritto di rivalsa nei confronti del venditore stesso per il recupero di tutte le somme che sia stato costretto a versare al condominio.

La norma fonda il principio della c.d. “ambulatorietà passiva” delle obbligazioni condominiali, e determina un criterio volto ad agevolare il Condominio nella riscossione dei crediti grazie al quale, in caso di disaccordo fra venditore e acquirente, l’amministratore del Condominio potrà rivolgersi indifferentemente all’acquirente o al venditore per la riscossione delle obbligazioni condominiali relative all’anno in corso ovvero a quello precedente l’intervenuta compravendita, salva la facoltà dell’acquirente di esercitare azione di regresso verso il venditore per quanto pagato in eccedenza.


SPESE DI MANUTENZIONE STRAORDINARIA

Fattispecie: all’acquirente viene chiesto di pagare spese riguardanti opere di carattere straordinario eseguite sull’immobile successivamente all’acquisto, ma autorizzate con una delibera assembleare che risale a prima dell’atto di compravendita, alla quale non ha partecipato, e della quale potrebbe anche essere completamente ignaro, qualora non ne fosse mai stato informato e/o non fossero state previste particolari clausole specifiche nella proposta di acquisto, oppure nel contratto preliminare.

Secondo una parte della giurisprudenza il momento chiave in cui passano oneri e onori è da considerarsi la data del rogito notarile, indipendentemente dal fatto che la delibera sia stata antecedente all’atto di compravendita; in altre parole, fino al rogito notarile paga il vecchio proprietario, mentre con il passaggio di proprietà l’acquirente si assume anche l’onere delle spese straordinarie, sebbene non le abbia deliberate e/o non ne fosse addirittura a conoscenza. (In questo ultimo caso si pone un’ulteriore problematica collegabile alla buona fede dell’acquirente e al fatto che, se avesse conosciuto tali spese, avrebbe comprato a un prezzo differente.)

In altre sentenze la Corte di Cassazione ha stabilito che l’obbligo del condomino di pagare i contributi sorge nel momento della concreta esecuzione dei lavori occorrenti per la manutenzione e quindi nel momento che si rende necessaria l’effettuazione della spesa  (Cassazione, Sentenza 16 giugno – 9 settembre 2008, n. 23345, Suprema Corte di Cassazione n. 6323 del 18 aprile 2003,  Corte di Cassazione 26 gennaio 2000, n. 857, in Arch. loc., 2000, 419, e 17 maggio 1997, n. 4393, in Foro It., 1998, I, 2204.)
Secondo la Cassazione nei confronti del condominio l’obbligo del condomino di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell’edificio deriva non dalla preventiva approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, atteso il carattere meramente dichiarativo di tali delibere, ma dal momento in cui sia sorta la necessità della spesa ovvero la concreta attuazione dell’attività di manutenzione e quindi per effetto dell’attività gestionale concretamente compiuta e non per effetto dell’autorizzazione accordata all’amministrazione per il compimento di una determinata attività di gestione.
Quindi, l’obbligazione di ciascun condomino, di contribuire alle spese per la conservazione dei beni comuni nasce nel momento in cui è necessario eseguire le relative opere, mentre la delibera dell’assemblea di approvazione della spesa, che ha la funzione di autorizzarla, rende liquido il debito di cui in sede di ripartizione viene determinata la quota a carico di ciascun condomino, sicché, in caso di compravendita di un’unità immobiliare sita in edificio soggetto al regime del condominio, è tenuto alla spesa colui che è condomino al momento in cui si rende necessario effettuare la spesa (Cassazione – sentenza n. 6323/2003).


Recentemente la giurisprudenza si è pronunciata nuovamente sulla questione della ripartizione delle spese condominiali di straordinaria amministrazione ed ha individuato come momento essenziale per determinare chi deve pagare tali spese non la data del rogito notarile, ma la titolarità del bene alla data in cui c’è stata la delibera condominiale. Tale opinione, ha la sua ragione nel fatto che solo il vecchio proprietario poteva proporre, controllare ed eventualmente opporsi a tale decisione.
La Suprema Corte con sentenza n. 24654/2010 ha ritenuto che l’obbligo di pagare i contributi per le spese riguardanti opere di ristrutturazione delle parti comuni dell’edificio grava su colui che era proprietario al momento dell’adozione della delibera di approvazione delle spese stesse, a nulla rilevando il momento di effettiva esecuzione dei lavori.


Per ciò secondo l’orientamento più recente nel caso di vendita di un appartamento, è tenuto alla spesa chi riveste la qualità di condomino al momento in cui viene adottata la delibera che autorizza il compimento di tali atti di amministrazione straordinaria.
Nonostante pertanto la responsabilità solidale ai sensi dell’art 63 delle disp. Att. Codice civile tra acquirente e venditore, l’acquirente, richiesto del pagamento da parte del condominio per spese deliberate prima del rogito, è tenuto a pagare ma ha azione di rivalsa nei confronti del venditore.

RIMEDI CONTRATTUALI:
Per ovviare a questi problemi, suggeriamo prima del rogito di:
1) Prendere visione del Regolamento di Condominio;
2) Sapere a quanto ammontano le spese ordinarie annue;
3) Informarsi tramite l’Amministratore se ci sono lavori straordinari già deliberati e/o in fase di delibera ed eventualmente puntualizzare tali aspetti in sede di contratto;
4) Farsi dare dal venditore, contestualmente al rogito notarile, lettera di liberatoria dell’amministratore comprovante l’avvenuto pagamento delle spese ordinarie.

  
LA CLAUSOLA A VALIDITA’ PARZIALE:

Bisogna, poi, a tal proposito menzionare le problematiche sottese alla stesura della cosiddetta Clausola a validità parziale.

Tale clausola è inserita nell’atto di compravendita e con essa il venditore si assume ogni onere in ordine a spese pregresse od a interventi deliberati prima della cessione del bene, ma la clausola ha efficacia esclusivamente tra le prati contraenti e non è opponibile al condominio.

Nulla, perciò impedisce all’amministratore condominiale di rivolgersi comunque all’acquirente, salvo il diritto di quest’ultimo di esercitare la specifica azione di rivalsa nei confronti del venditore.



martedì 19 luglio 2011

LA DIRETTIVA BOLKESTEIN E LE CONCESSIONI DEMANIALI:

Nel gennaio 2009 la Commissione Europea ha trasmesso al Governo Italiano un documento di infrazione in materia di affidamento delle concessioni demaniali marittime.

La Direttiva in esame è stata scritta e proposta dall'ex Commissario Europeo per la Concorrenza e il Mercato Interno della UE, Frits Bolkestein, La proposta è stata approvata all'unanimità dalla Commissione Europea, presieduta all'epoca da Romano Prodi.

L’OBBIETTIVO DELLA BOLKESTEIN:
La direttiva comunitaria 2006/123/CE, si pone l'obiettivo di “eliminare gli ostacoli alla libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati membri e alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri nonché garantire ai destinatari e ai prestatori la certezza giuridica necessaria all’effettivo esercizio di queste due libertà fondamentali del trattato.”

Il legislatore comunitario vuole abbattere le barriere economiche e strutturali che, di fatto, ancor oggi non consentono la piena libertà di circolazione e la completa e garantita libertà di stabilimento.

LE INFRAZIONI CONTESTATE:
In particolare si contesta all’Italia in ordine alle concessioni demaniali delle spiagge:
-       la compatibilità del diritto preferenziale di insistenza di cui all’art. 37 cod. nav. con i principi di cui all’art. 43 Trattato Ce e dell’art.12 di cui alla direttiva servizi n. 2006/123/CE;
-       la compatibilità  del rinnovo automatico della concessione alla scadenza sessennale di cui all’art. 1, c. 2, d.l. 400/1993, conv. L. 494/1994, e successivamente modificato dall’art. 10 L. 88/2001.

A parere della Commissione Europea detti due aspetti contrastano con i principi di libertà di stabilimento delle imprese comunitarie (art. 43 Trattato CE) e di imparzialità, trasparenza e pubblicità delle procedure di selezione dei concessionari (art. 12, direttiva 2006/123/CE).

AMBITO APPLICATIVO:
Tra i settori che coinvolgono detta direttiva si parla di “servizi ai consumatori, quali i servizi nel settore del turismo, compresi i servizi ricreativi, i centri sportivi, i parchi di divertimento”, ricomprendendosi fra i destinatari della normativa anche le imprese turistico-balneari esistenti nel nostro territorio.

IL SISTEMA NORMATIVO DELLE CONCESSIONI BALNEARI IN ITALIA:
E’ opportuno esporre il sistema vigente della normativa di settore.

Il demanio marittimo, nel nostro Paese, è regolato oltre che dall’art 822 c.c. in ordine al demanio pubblico, da alcune leggi speciali ed in particolare:

- Art. 36 del codice della navigazione dispone al primo comma che:
“L'amministrazione marittima, compatibilmente con le esigenze del pubblico uso, può concedere l'occupazione e l'uso, anche esclusivo, di beni demaniali e di zone di mare territoriale per un determinato periodo di tempo.”


- Art. 37 del medesimo codice dispone che:
Nel caso di più domande di concessione, è preferito il richiedente che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e si proponga di avvalersi di questa per un uso che, a giudizio dell'amministrazione, risponda ad un più rilevante interesse pubblico.
Al fine della tutela dell'ambiente costiero, per il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative è data preferenza alle richieste che importino attrezzature non fisse e completamente amovibili. E' altresì data preferenza alle precedenti concessioni, già rilasciate, in sede di rinnovo rispetto alle nuove istanze.
Qualora non ricorrano le ragioni di preferenza di cui ai precedenti commi, si procede a licitazione privata.”

- L’articolo 1 del d.l. n. 400/1993 ha stabilito che “la concessione dei beni demaniali marittimi può essere rilasciata, oltre che per servizi pubblici e per servizi e attività portuali e produttive, per l'esercizio delle seguenti attività: a) gestione di stabilimenti balneari; b) esercizi di ristorazione e somministrazione di bevande, cibi precotti e generi di monopolio; c) noleggio di imbarcazioni e natanti in genere; d) gestione di strutture ricettive ed attività ricreative e sportive; e) esercizi commerciali; f) servizi di altra natura e conduzione di strutture ad uso abitativo, compatibilmente con le esigenze di utilizzazione di cui alle precedenti categorie di utilizzazione” e che (comma 2) tali concessioni avrebbero avuto, sic et simpliciter, durata quadriennale ovvero altra durata concessa e autorizzata a partire da motivata richiesta degli interessati”;

- la legge n.88/2001 (“Nuove disposizioni in materia di investimenti nelle imprese marittime”) all'articolo 10 (“Disposizioni concernenti le concessioni dei beni demaniali marittimi”), ha introdotto il meccanismo del rinnovo automatico della durata delle concessioni demaniali marittime, posto che “le concessioni di cui al comma 1, indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno durata di sei anni. Alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni e così successivamente ad ogni scadenza, fatto salvo il secondo comma dell'articolo 42 del codice della navigazione”, quest'ultimo inciso facendo salvo il potere di “revoca delle concessioni” previsto nel Codice anzidetto.

- La legge n. 296/2006 ha modificato l'articolo 3 del d.l. n. 400/1993 prevedendo la possibilità di essere titolari di concessioni demaniali marittime per una durata non inferiore a 6 anni e non superiore a 20 anni “in ragione dell'entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare e sulla base dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo predisposti dalle regioni”;

IL CANONE DELLA CONCESSIONE:
La nuova disciplina dettata dalla legge finanziaria 2007 modifica il precedente impianto normativo, prevedendo per la prima volta un'articolazione dei criteri di quantificazione dei canoni. Accanto al canone tabellare, che continua ad applicarsi per alcune tipologie di beni demaniali oggetto di concessione, viene introdotto un canone commisurato al valore di mercato, sia pure mitigato da alcuni accorgimenti e abbattimenti.


L’ARTICOLO 12 DELLA DIRETTIVA COMUNITARIA:
L’articolo 12 della direttiva prevede che “qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento”. In tali casi “l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami”.


L’IMPATTO DELLA DIRETTIVA SUL SISTEMA NORMATIVO ITALIANO:

Per effetto della “direttiva servizi”, le concessioni sul demanio marittimo non potranno più essere rinnovate automaticamente, non valendo più il diritto di insistenza, ma anzi dovranno essere oggetto di un bando con procedura di evidenza pubblica alla scadenza temporale di ogni concessione.

Le nostre imprese balneari sono tipicità nazionali a tutti gli effetti e offrono un monitoraggio costante del territorio sia da un punto di vista ambientale che della pubblica sicurezza della balneazione.  

Gran parte degli attuali concessionari, che rappresentato da piccoli imprenditori, sono preoccupati di veder vanificati gli sforzi compiuti in lunghi anni di lavoro nella creazione del valore economico degli stabilimenti balneari.

Il quadro normativo italiano, prima della direttiva servizi,  era più certo tanto che ha dato la possibilità ai concessionari balneari di investire diversi milioni di euro nelle strutture turistiche ricettive, soprattutto a partire dal 2006, anno in cui si è assistito a un forte rinnovamento delle strutture balneari che, grazie al rinnovo automatico, hanno permesso agli istituti bancari di iscrivere ipoteca sulle strutture (previo nulla osta degli uffici demaniali) per mutui di durata anche ventennale.

LE COSTRUZIONI REALIZZATE DAI CONCESSIONARI:
Il concessionario di un’area demaniale, sulla quale abbia ottenuto l’autorizzazione ad edificare opere rimuovibili , è titolare di un diritto reale su beni demaniali “assimilabile” al diritto di superficie regolato dall’art. 952 cod. civ. avente natura temporanea e soggetta ad una peculiare regolamentazione in ordine al momento della sua modificazione, estinzione o cessazione.  

L’INDENNIZZO IN FAVORE DEI CONCESSIONARI:
L’art. 49 del codice della navigazione dispone che"…quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell'autorità concedente di ordinarne la demolizione, con restituzione del bene demaniale al pristino stato", richiama in pratica l'istituto dell'accessione, di cui all'art. 934 cod. civ. - con deroga al principio dell'indennizzo, di cui al successivo art. 936 - va interpretato nel senso che l'accessione si verifica "ipso iure", al termine del periodo di concessione.
A norma dell'art. 49 del codice della navigazione, sono soggette ad accessione, al termine del rapporto concessorio, solo le opere "non amovibili", nel presupposto che per tali opere, destinate a restare sul territorio o ad essere distrutte, debba assicurarsi la piena disponibilità per l'ente proprietario del suolo, a fini di corretta gestione delle medesime nell'interesse pubblico.

Una recentissima sentenza del Consiglio di Stato in sede Giurisdizionale (26.05.2010) ha dichiarato che “può giustificare l’inapplicabilità del principio dell’accessione gratuita, fortemente penalizzante per i superficiari, quando il titolo concessorio preveda forme di rinnovo automatico e preordinato in antecedenza rispetto alla data di naturale scadenza della concessione, tanto da figurare il rinnovo stesso, al di là del nomen juris, come una vera e propria proroga, protraendosi il medesimo rapporto senza soluzione di continuità”.

Questa sentenza potrebbe aprire le porte ad un eventuale indennizzo che lo Stato od il “nuovo” concessionario dovrebbe corrispondere al “vecchio” per caso di mancato rinnovo della concessione a seguito di miopia del legislatore, in quanto quest’ultimo, altrimenti, avrebbe diritto di demolire tutti i manufatti dal medesimo costruiti, rendendo assolutamente inappetibile l’acquisizione degli stabilimenti balneari da parte dell’Agenzia del Territorio, in quanto l’Agenzia di fatto non acquisirebbe che “rena”.


I PROVVEDIMENTI DELLO STATO ITALIANO:

IL DECRETO MILLEPROROGHE:
Con l’approvazione della Legge n 25 del 26/2/2010 con il quale è stato convertito in legge il decreto Milleproroghe è stato abrogato il secondo periodo dell’art. 37 del Codice della navigazione, sopprimendo il diritto di insistenza per il rinnovo della concessione ed è stata prorogata al 31 dicembre 2015 la proroga delle concessioni demaniali e conferma il disposto dell'art. 3 comma 4 bis della legge 494/93 attinente alla possibilità per gli imprenditori di correlare l'ammontare degli investimenti con la durata della concessione.

IL FEDERALISMO DEMANIALE:
Con il Decreto Legislativo n. 85 del 28 Maggio 2010 sul c.d “federalismo demaniale”, è stata attribuita la titolarità di gran parte dei beni del demanio dello Stato alle Regioni, Province, Comuni e Città Metropolitane.
Detto decreto, in effetti non cambia nulla della disciplina delle concessioni demaniali marittime e dei canoni che vengono pagati per esse.
Il 1° comma dell’art. 4 stabilisce, che i beni del demanio marittimo non entrano a far parte del patrimonio disponibile delle Regioni (restando, quindi, nel patrimonio indisponibile di esse), a differenza della maggioranza dei beni demaniali trasferiti, e che essi restano assoggettati al regime stabilito dal Codice Civile, dal Codice della Navigazione, dalle leggi statali e regionali (comprese, quindi, la Legge 296/2006 - Legge Finanziaria per il 2007, che prevede gli attuali canoni di concessione e tutte le Leggi Regionali che disciplinano il rilascio delle concessioni demaniali marittime) e dalle norme comunitarie di settore, con particolare riguardo a quelle di tutela della concorrenza (Direttiva CE 123/2006, la c.d. Direttiva “Bolkestein” sulla concorrenza nel settore dei servizi). Su questi beni non possono, quindi, essere costituiti diritti di superficie. Inoltre preme evidenziare, come le Regioni non abbiano in ogni caso  la competenza legislativa per determinare la misura dei canoni delle concessioni demaniali marittime, dato che tale facoltà è attribuita allo Stato, ai sensi del 3° comma dell’art. 117 della Costituzione.


IL TENTATIVO DEL DECRETO SVILUPPO “IL DIRITTO DI SUPERFICIE” RISCHIO SCONGIURATO:

Inizialmente il Decreto Sviluppo proponeva che “Fermo restando il diritto di passaggio sulle spiagge che è inviolabile, tutto ciò che è terreno su cui insistono gli insediamenti turistici (chioschi, stabilimenti balneari, strutture ricettive) sarà oggetto di diritto di superficie che dura 90 anni (poi ridotto a 20 anni).”

Il Governo nell’attuazione del Decreto Sviluppo è stato costretto a fare marcia. Il diritto di superficie ventennale sulle spiagge oltre ad essere una minaccia per l’ambiente e per le coste italiane, di fatto rappresentava un rischio anche per le migliaia di imprese del settore balneare. Allo scadere del diritto di superficie infatti la titolarità delle costruzioni realizzate veniva acquisita automaticamente al demanio.


LE POSSIBILI SOLUZIONI:

1) Si deve sollecitare il legislatore comunitario a interpretare la direttiva in questione, escludendo dall'applicazione della direttiva servizi il settore turistico-balneare e ricreativo.
La Direttiva Servizi Bolkestein è rivolta ai "servizi pubblici", a quelle attività che gli Stati o gli Enti territoriali delegano a loro "partecipate" o a imprese private, affinchè svolgano "servizi diretti"a favore della collettività, che essi Stati o Enti non possono o scelgono di non svolgere (ferrovie, poste, ospedali....etc..).
Essa, quindi, non è idonea a disciplinare le "imprese balneari", che utilizzano una pubblica superficie quale "strumento" aziendale offrendo un servizio privato e non pubblico.

Gli stabilimenti balneari sono stati riconosciuti come imprese turistiche dall'art. 7 della legge 27 marzo 2001 n. 133 la quale ha dissolto ogni incertezza in tal senso.

2) Si deve altresì far leva sulla esistenza di un “rilevante settore di mercato delle concessioni di demanio marittimo” rispetto al quale opera un impianto normativo domestico, derogatorio a quello comunitario ma rispettoso dei principi generali di quest'ultimo. Si rileva l’opportunità del rilascio di titoli autorizzativi più lunghi con la previsione di una indennizzo d'ingresso o il rilascio di una concessione demaniale non frazionata affidata a consorzi di balneatori.

3) Altra soluzione potrebbe essere la “sdemanializzazione” degli arenili, conseguente a una operazione di ridimensionamento della fascia di spiaggia (che resterebbe bene demaniale), successivamente perimetrata e differenziata dall'arenile (il quale ultimo verrebbe, invece, ceduto in proprietà agli odierni concessionari).

4) Ulteriore soluzione potrebbe essere quella di assecondare la direttiva europea. Con un meccanismo, che preveda le aste concedendo al proponente la possibilità di commisurare la durata della concessione all’entità degli investimenti previsti, il tutto con la massima trasparenza per selezionare la migliore proposta sia da un punto di vista economico (il canone-prezzo di concessione che sarà poi incassato dall’Amministrazione locale) sia sulla qualità e la varietà dell’attività su criteri come “salute pubblica, politiche sociali, ambientali e della salvaguardia del patrimonio culturale” e di altri ancora collegati all’interesse generale.

5) Sono allo studio, da parte dell'Esecutivo, l'istituzione dei distretti "turistico-balneari" con i quali tentare di tenere fuori dall'applicazione della Bolkestein le nuove realtà (stabilimenti, alberghi, centri congressi) che verranno nelle località turistiche di mare o di lago, con le agevolazioni previste per i distretti o per i contratti di rete di imprese.

CONCLUSIONE:
Questo studio legale sta affrontando l’approfondimento della problematica inerente alla applicazione della Direttiva Comunitaria in esame ai Balneari.

Nella speranza che il nostro legislatore risolva al più presto la questione dei Balneari tutelando i diritti di una categoria così importante per l’impresa dei servizi privati italiana, siamo a disposizione dei Balneari per ogni consulenza.